Giugno 2005  Supplemento alla rivista EL.LE - ISSN: 2280-6792
Direttore Responsabile: Paolo E. Balboni
Apprendimento ed insegnamento secondo la Teoria della Gestalt [II] di Mario Polito


Nota del redattore: Con questa seconda parte si conclude il prezioso contributo di Mario Polito, apparso sul Bollettino di aprile.

 

V. IL GRUPPO CLASSE COME RISORSA PER APPRENDERE INSIEME

La situazione didattica offre ottime possibilità per apprendere insieme. Tuttavia esse non sono ancora utilizzate, perché, in genere, si trascura la comunicazione in classe e l’esperienza del contatto personale.

Secondo la Teoria della Gestalt si apprende insieme in modo efficace quando ognuno entra in contatto con l’altro e condivide con lui la propria mappa cognitiva, le proprie emozioni, le proprie visioni e Gestalt.

La prospettiva dell’apprendere insieme diventa una modalità conoscitiva più ampia: essa integra l’apprendimento individuale con la condivisione. Ripristina il valore del dialogo come strumento di conoscenza e di contatto. Pone inoltre una particolare attenzione al processo ermeneutico dell’interpretazione e dell’attribuzione del significato al discorso di ogni persona.

Imparare insieme supera la rigidità dei ruoli: ognuno è maestro ed educatore dell’altro.

La Teoria della Gestalt possiede una vasta elaborazione teorica ed esperienziale sulla formazione e conduzione dei gruppi. La maggior parte delle osservazioni ed indicazioni sono di carattere clinico e psicoterapeutico. È possibile ristrutturare la teoria gestaltica della formazione e conduzione dei gruppi in senso pedagogico. Bisogna però stabilire alcune differenze: il gruppo didattico non è un gruppo terapeutico. Il gruppo didattico è focalizzato sull’apprendimento. Ma l’impostazione gestaltica applicata al gruppo didattico ci permette di valorizzare la condivisione come uno strumento speciale di apprendimento. Nascono domande come le seguenti: “Come si apprende in gruppo? In che modo il gruppo può facilitare l’apprendimento individuale? In che modo lo scambio, la condivisione, la divergenza può costituire una efficace esperienza di apprendimento? In che modo si può utilizzare il gruppo come risorsa di apprendimento? In che modo ognuno può aiutare l’altro ad apprendere? In che modo si può apprendere insieme?”.

Applicando la Teoria della Gestalt al gruppo di apprendimento è possibile prendersi cura sia della crescita di ogni studente sia della crescita del gruppo come sostegno nell’apprendimento. Si valorizzano le risorse di ciascuno, la diversità di stili, di ritmo, di mappe cognitive, di strategie, di modalità di lavoro. Ma si valorizzano anche i momenti di di confronto e di discussione. Ogni studente può ricevere un gran numero di stimoli, non soltanto dall’insegnante ma anche dai suoi compagni: vi è la consapevolezza dell’apprendimento come scambio di esperienze, come cooperazione, come solidarietà.

Il gruppo di apprendimento ci permette di superare la visione individualistica nella quale ogni studente è spinto a tuffarsi nella gara scolastica per completare il suo corso di studi senza interessarsi dello scambio con gli altri, anzi disprezzando ogni forma di condivisione, intesa come perdita di tempo. In tale prospettiva, lo studio è una competizione sostenuta con l’intenzione di dimostrare agli altri quanto si è bravi, eccellenti e superiori: l’individualismo uccide la condivisione e l’incontro. Si diventa bravi ma disadattati (D.Goleman tr.it. 1996).

Finora gli insegnanti e gli studenti non hanno valorizzato il gruppo classe come gruppo di condivisione e di sostegno nell’apprendimento; finora si è pensato al gruppo classe come ad un insieme un po’ casuale di persone che devono stare insieme per un anno o vari anni, senza incontrarsi realmente, senza prendersi cura dell’altro, senza voglia di conoscerlo e di esplorarlo, senza dialogo. La maggior parte degli insegnanti e degli studenti non concepisce il gruppo classe attraverso una visione globale, . K. Lewin considera invece il gruppo nella sua totalità e sottolinea il fatto che il gruppo non è dato dalla somma numerica delle persone che lo compongono, ma è un’entità strutturata e unitaria, le cui caratteristiche non sono riconducibili a quelle di ciascun elemento del gruppo. Tale impostazione ci sollecita a guardare al gruppo classe in un modo del tutto differente e a considerare il gruppo classe come una totalità dinamica.

Facciamo un esempio. Se all’interno del gruppo classe vi è un soggetto che crea problemi con il suo comportamento, è importante conoscere non soltanto i problemi di questo studente ma capire anche in che modo questo suo problema è legato alla vita del gruppo: in che modo, cioè, egli sta esprimendo il disagio del gruppo o la patologia del gruppo. Vi possono essere fenomeni di proiezione e, in tal caso, il gruppo come insieme, per sentirsi “sano”, ha bisogno di scaricare la sua negatività, la sua patologia, su qualche suo membro. Questo fenomeno è conosciuto, sin dall’antichità, sotto la denominazione di “capro espiatorio”. L’insegnante che vuole essere efficace orienterà il suo intervento educativo non soltanto verso il singolo studente, ma anche sul gruppo.

La Teoria della Gestalt, grazie soprattutto ai lavori di Kurt Lewin e ai lavori clinici di Fritz Perls ha valorizzato l’esperienza del gruppo come esperienza di contatto, di comunicazione, di crescita. Il gruppo classe è una risorsa non soltanto dal punto di vista cognitivo, ma anche dal punto di vista emozionale e personale.

Ogni studente è una risorsa, perché possiede competenze, attitudini, affetti, punti di vista originali, entusiasmi, bisogni, aspettative, desideri. La maggior parte di tali risorse sono scarsamente utilizzate o del tutto trascurate dalla didattica contemporanea.

L'insegnante che accoglie una prospettiva gestaltica, stimola ciascuno studente a dare una forma personale ed originale al proprio sapere, a prendersi cura del proprio stile di apprendimento, a condividere le proprie risorse cognitive ed affettive nel gruppo classe. In tale contesto è possibile confrontarsi e discutere posizioni differenti, perché ognuno può arricchire la discussione col suo punto di vista ed ampliare la propria visione osservando il mondo con gli occhi dei compagni. I contenuti didattici vengono arricchiti dalle risonanze cognitive ed affettive di questi studenti. In questo modo la scuola può diventare un vero luogo di assimilazione, di rielaborazione e di nuova costruzione del sapere, una costruzione che viene fatta insieme agli altri. Ogni gruppo racchiude, di fatto, una grande potenzialità, in quanto banca delle risorse e delle strategie, a cui tutti possono accedere: –chi è più competente in un settore può mettere a disposizione della classe il proprio sapere–, nonché fontxe costante di supporto emotivo.

Il gruppo classe è il campo all’interno del quale si cresce e si impara insieme.

Generalmente invece succede che l’insegnante, focalizzato su di sé e sulla propria materia, sia spinto a considerare se stesso come il motore della classe: gli studenti sono per lui una massa amorfa, messa in movimento dalle sue spiegazioni e dalle sue interrogazioni. Nella teoria del Campo l’insegnante non è l’unico elemento attivo della classe; è solo una parte del sistema, una variabile. :può essere influenzato e modificato dalle risposte della classe e dei singoli alunni. Non vi è, in altri termini, solo istruzione da parte dell’insegnante verso gli alunni, ma anche il contrario: anche gli alunni istruiscono e rendono migliori e più preparati i loro insegnanti. Nel gruppo- classe vi è, in sostanza, co-educazione, co-evoluzione: si cresce e si impara insieme.

 

VI. I PRINCIPI DI ORGANIZZAZIONE GESTALTICA APPLICATI ALLA DIDATTICA

I principi di organizzazione percettiva sono stati delineati da Max Wertheimer in un saggio del 1923. Egli sostiene che tale organizzazione percettiva è spontanea e inevitabile. Secondo M.Wertheimer i principali fattori di unificazione e di organizzazione sono i seguenti1:

1) la vicinanza, contiguità

2) la somiglianza

3) la chiusura

4) la continuità di direzione (o buona continuazione)

5) la buona forma o pregnanza

6) l’esperienza passata.

 

La Teoria della Gestalt ritiene che l’organizzazione della mente sia costituita dalle strutture o dagli schemi mentali che abbiamo interiorizzato e acquisito con l’esperienza. Noi applichiamo tali schemi di organizzazione ai dati e agli stimoli incompleti per orientarci rapidamente nel mondo.

Di fronte ad un nuovo problema noi siamo spinti a ricercare nell’esperienza passata tutto ciò che è pertinente per risolverlo. Evochiamo strategie di soluzioni, schemi di organizzazione dei dati, sequenze di operazioni efficaci, ipotesi valide. Utilizziamo mappe cognitive, all’interno delle quali collochiamo i dati in modo accurato e veloce. L’attività didattica di insegnamento e l’attività dell’apprendimento sono efficaci quando facilitano l’attività di organizzazione e riorganizzazione continua delle conoscenze e delle informazioni. Insegnare bene significa aiutare gli studenti a dare forma ed organizzazione alle proprie conoscenze e alla propria mente. In tale prospettiva è necessario prendersi cura del modo in cui gli studenti elaborano, sistemano, strutturano e ristrutturano le informazioni che ricevono dall’insegnante o dal libro di testo. L’attività di assimilazione è un’attività essenzialmente riorganizzatrice delle informazioni; quindi il punto focale della lezione dell’insegnante non è più la presentazione delle informazioni, ma la loro ri-costruzione. Egli organizza le informazioni essenziali della sua materia in schemi, strutture, forme, configurazioni e suggerisce agli studenti di fare altrettanto, elaborando le loro configurazioni e le loro sintesi. La capacità di elaborare sintesi è una abilità della mente di riorganizzare i dati, scegliendo quelli più forti, più significativi, quelli che fanno parte di una Gestalt più evidente, quindi più strutturata.

Di fronte alla complessità dei dati e della realtà si avverte sgomento e disorientamento, perché la complessità dei fenomeni (Morin 1986, Prigogine 1985) è molto difficile da controllare e dominare.

Si ha bisogno di controllarla attraverso la sintesi e la semplificazione. Per questa ragione è necessario fornirsi di una bussola, di un orientamento, di uno schema, di una mappa. I principi di unificazione studiati da M.Wertheimer possono aiutare l’insegnante e lo studente. Analizziamoli dettagliatamente.

Il principio della vicinanza o principio della contiguità

Gli elementi più vicini o contigui creano una forma, una Gestalt: pensando ad una cattedrale noi unifichiamo in una Gestalt molte dimensioni: l’aspetto architettonico, quello estetico, quello religioso ed altri. Uno studente possiede una buona visione di ciò che studia quando è capace di creare intorno ad un tema un gran numero di informazioni pertinenti e vicine.

Un’unità didattica è efficace quando l’insegnante cura l’organizzazione delle informazioni con il criterio della vicinanza e della contiguità: sceglie quelle più vicine al tema centrale, utilizzando lo schema a raggiera, a corollario.

Spesso tale principio viene trascurato dall’insegnante; succede cioè che egli decida di presentare troppe informazioni, e ramifichi talmente i concetti da far perdere di vista gli elementi essenziali, i tronchi teorici di un tema. All’inizio,sarebbe invece più opportuno presentare le informazioni in configurazioni semplici; successivamente, quando si è percorso un buon tratto del tragitto di apprendimento, è possibile presentare una ramificazione concettuale molto più dettagliata.

È dunque importante che si scelgano, all’interno di ogni argomentole informazioni più essenziali, in modo da presentare uno schema percettivo semplice. Un argomento composto da informazioni ben connesse e ravvicinate, facilita la percezione della sua struttura. Di contro, torniamo a ripetere, schemi e grafici troppo complessi sono inadeguati didatticamente, anche se completi dal punto di vista delle informazioni che contengono.

Il principio della somiglianza

Il principio della somiglianza è costituito dalla tendenza al raggruppamento di elementi simili entro categorie e classi: lo studio è più efficace quando lo studente è capace di collocare le informazioni simili in schemi (uno schema per comprendere il principio della leva, uno schema per comprendere l’esistenzialismo, uno schema per comprendere il taoismo, uno schema per comprendere la psicanalisi, ecc.). Ogni schema, quando è ben strutturato aiuta la comprensione e la memorizzazione. L’integrazione di molti schemi è denominata “teoria”. Il compito delle teorie, in generale, è quello di creare dei raggruppamenti coerenti e sintetici dei dati per facilitare l’orientamento nella realtà: conoscendo, ad esempio, la teoria psicanalitica, è più facile accogliere le nuove informazioni sulla psiche ed è più facile evocare tutto ciò che si conosce sull’argomento per comprendere in modo accurato e approfondito come funziona la mente.

Una lezione è dunque più comprensibile quando la sequenza dei concetti esposti è ordinata in base al principio della somiglianza, quando si procede per schemi, per raggruppamenti coerenti di informazioni e di concetti, gradualmente, da un concetto al concetto più vicino. Qualora questa successione graduale non fosse possibile, sarebbe opportuno avvisare lo studente, dicendo: “Adesso cambiamo argomento e passiamo a considerare quest’altro concetto”.

Il principio della chiusura

Le forme chiuse sono facili da percepire perché creano una configurazione più evidente che emerge come figura. Quando una lezione possiede un inizio, uno svolgimento e una fine, lo studente ha la sensazione di capire rapidamente e di padroneggiare bene l’argomento. Nella lezione organizzata con il principio della chiusura, lo studente percepisce immediatamente la struttura d’insieme, all’interno della quale si aspetta degli approfondimenti. Tale struttura gli fornisce un orientamento ed una bussola per accogliere le nuove informazioni: saprà dove collocarle.

Le lezioni a “ruota libera” alcune volte disorientano. Può essere piacevole ascoltarle, ma poi è difficile recuperare le informazioni essenziali. Di fronte ad un professore che procede a balzi, per vie contorte e senza struttura, gli studenti si chiedono: “Dove vuole andare a parare? Che cosa vuole dimostrare? Cosa sta dicendo? Perché sta facendo un giro così largo?”.

La legge della chiusura è basata sulla spinta a completare i dati, le situazioni o le percezioni avvertite come incomplete. I compiti interrotti (Zeigarnick 1927), le situazioni rimaste sospese e non completate (unfinished business) creano un bisogno che si placa solo quando si raggiunge il completamento. Alcuni psicologi gestaltisti, come Zeigarnick, Ovsiankina, Lewin, avevano notato che dei compiti interrotti erano accompagnati da un senso di tensione e di insoddisfazione2. Una Gestalt incompleta produce, oltre a tensione e insoddisfazione, una serie di comportamenti ripetitivi che spingono la persona a concludere ciò che era rimasto interrotto3. È una tendenza verso l’equilibrio, verso l’omeostasi. Ogni nuova situazione, introducendo delle novità, modifica e rompe l’equilibrio precedente: crea il bisogno di agire per ripristinare il vecchio equilibrio o per crearne uno di nuovo. Quando una situazione è squilibrata, crea tensione, disagio, insoddisfazione;4 la buona forma è una forma completa, equilibrata, armonica, serena: è una tendenza verso la simmetria5.

Ogni lezione, quando introduce nuove informazioni, può condurre ad un disagio cognitivo, ad una dissonanza cognitiva. L’insegnante che accoglie la prospettiva gestaltista, si prende cura del processo di assimilazione ed aiuta ogni studente a ricreare, attraverso la ristrutturazione, un nuovo equilibrio all’interno delle proprie mappe mentali. Il processo di assimilazione è un processo di “chiusura”, di completamento, di armonizzazione personale: le nuove informazioni sono destrutturate e ristrutturate per creare una nuova visione ancora più armonica ed integrata. Quando invece lo studente riceve un gran numero di informazioni senza essere aiutato ad assimilarle, avverte una spinta a dimenticarle subito, per non avvertire la mente ingombra e pesante.

Si può utilizzare tale tendenza a completare, a chiudere le Gestalt, attraverso la didattica del problem solving o della ricerca. Essa consiste nell’assegnare agli studenti un compito aperto: si pone loro un problema, che li coinvolge nella ricerca di nuovi dati, nella generazione di nuove alternative, nella verifica. Tale compito aperto crea un’attivazione nello studente: si sente spinto a provare e a riprovare finché non trova la soluzione, finché non percepisce di avere “chiuso”, completato, finito tale compito.

Il principio della continuità di direzione (buona continuazione)

Il principio della buona continuazione indica la tendenza a ridurre la complessità e a facilitare l’organizzazione percettiva più usuale e più familiare: si avverte la spinta a seguire quelle informazioni che, grazie ai principi di vicinanza e di contiguità, formano una successione ben connessa di dati. Tale principio è molto utile nella programmazione delle unità didattiche. La domanda che l’insegnante si pone è la seguente: “In che modo posso organizzare le informazioni essenziali della mia materia in un curriculum, in un percorso graduale e di difficoltà crescente?”. Quando l’insegnante riesce ad organizzare tale curriculum, guida la percezione dello studente e facilita il passaggio da un concetto all’altro fino a fargli percepire tutto il “percorso” concettuale. Attraverso il principio di buona continuazione l'insegnante può condurre agevolmente i suoi studenti dalla visione di insieme generale all’analisi delle parti, dal generale al particolare e viceversa. La lezione gestaltica rispetta sia il bisogno di sintesi che il bisogno di analisi. Il principio della sintesi è dato dall’unità e dalla struttura, il principio dell’analisi è dato dalla differenziazione dei dettagli che ramificano il concetto unitario.

Per facilitare la percezione, la comprensione ed il ricordo, è opportuno organizzare le informazioni in strutture antitetiche semplici, usando lo schema a biforcazione o a dilemma. La biforcazione concettuale rappresenta la prima forma di differenziazione L’organizzazione delle informazioni in tesi ed antitesi, in aspetti negativi e positivi, in pro e contro, in favorevoli e contrari, in prima e dopo, in costi e benefici, in ostacoli e rimedi, in cause ed effetti, crea Gestalt molto potenti dal punto di vista didattico e anche persuasivo.

Le strutture antitetiche complesse, come la struttura ad albero o a mappa, sono utili successivamente con studenti più esperti o alla fine della lezione e del corso, come schema sintetico e riassuntivo, che permette di dominare dall’alto di un promontorio il percorso fatto.

Il principio della buona forma

Il termine di “buona forma” è stato coniato da Wertheimer nel 1923. È un concetto che non è stato definito in modo rigoroso e preciso, e che potrebbe essere in un certo qual modo essere rappresentato attraverso le seguenti caratteristiche: la regolarità, la stabilità, l’equilibrio, la simmetria, la chiarezza e la semplicità6.

Quando si consegue la buona forma si ha un minimo dispendio di energia, perché l’organizzazione delle parti è raggiunta attraverso il percorso più breve.

Koffka (1935) sostiene che gli individui organizzano la propria esperienza in base alla forma più semplice e coerente possibile. F. Bartlett (1932) ha studiato la tendenza a semplificare i ricordi, a schematizzarli, per dare loro una configurazione più coerente, più unitaria, più economica, più generalizzante.

 

Le leggi di similarità, continuità, semplicità rappresentano delle modalità per dare ordine alle informazioni ed evitare la devastante sensazione del caos. Di fronte ad un compito complesso, si avverte la spinta a semplificare il compito, a renderlo familiare. Si tende, in altre parole, a dare ad esso una buona forma, eliminando le informazioni discrepanti, dissonanti, troppo difficili, irrilevanti, cercando di conservare solo quelle conosciute, familiari, significative, regolari, simmetriche. Emerge la tendenza a “migliorare” il compito, a “correggere” la situazione, come quando si hanno delle parti di un insieme sconnesse e si cerca di farle combaciare7.

In altri termini, di fronte a situazioni complesse, irregolari o confuse, si tende a semplificare, assegnando delle forme più semplici, più regolari, più chiaramente percepibili. Le Gestalt semplici si impongono alla percezione più facilmente di quelle complesse, quelle regolari si ricordano meglio di quelle irregolari, quelle chiare si comprendono più rapidamente di quelle confuse. Quando una forma diventa più chiara, più regolare, più familiare, più semplice, immediatamente si stacca dallo sfondo e si impone come figura alla nostra percezione. Pertanto per facilitare negli studenti l’attenzione e la percezione, non serve pregarli, ricattarli o punirli, è sufficiente solo creare delle “buone forme” concettuali.

La buona forma è caratterizzata dalla semplicità, ovverosia dalla selezione dell’essenziale. Noi andiamo a ritenere solo quelle informazioni che ci interessano in questo momento, qui e ora, e trascuriamo tutto il resto8.

Il principio di semplicità è detto anche principio del minimo, cioè principio del minimo dispendio di energia. Tale principio afferma che la migliore organizzazione è quella che si raggiunge con il minimo dispendio di energia: il massimo equilibrio di forze che conduce ad una distribuzione regolare, semplice, simmetrica, richiede, in effetti, un minimo dispendio di energia.

Quando una lezione è presentata in modo pregnante, si avverte facilmente la connessione di ogni affermazione con il centro, con il nucleo tematico: è possibile provare anche un senso di soddisfazione non soltanto concettuale ma anche estetico. Quando invece la lezione è presentata “male” e possiede una “brutta forma”, confusa, caotica, contorta, si prova, oltra a un’insoddisfazione concettuale, un disagio estetico, una brutta sensazione9.

Il principio della pregnanza

La legge della pregnanza stabilisce che la percezione è guidata a configurarsi in una buona forma, in una buona Gestalt, utilizzando le caratteristiche della semplicità, della regolarità, della vicinanza e della chiusura. Grazie a tali proprietà le forme assumono una buona forma e certe irregolarità o asimmetrie vengono attenuate o messe da parte.

Secondo M. Wertheimer tutti i fattori di organizzazione percettiva possono essere raggruppati sotto il principio della pregnanza, vale a dire la tendenza a creare la forma più equilibrata, semplice, omogenea, compatta, completa, chiusa, stabile, regolare, coerente, bilanciata, simmetrica.

Una lezione pregnante è una lezione ricca, ben strutturata e nutriente. Ogni concetto esposto è pieno di significato. È essenziale e nello stesso tempo generosa. Raggiunge la migliore combinazione di essenzialità e di forme piene.

L’insegnante che è d’accordo con l’impostazione gestaltica si interessa della pregnanza di significato dei termini usati dai suoi studenti. Li stimola cioè a riempire di significato ogni termine usato, facendo sì che evitino. parole vuote o “sgonfie”. Chiede perciò costantemente a ciascuno studente: “Che cosa richiama in te questo concetto? Ad esempio quando tu usi il concetto di “giustizia” cosa comprendi con esso o cosa includi in esso? Quale significato personale attribuisci a questa parola? In quale mappa cognitiva è inserita? Quali immagini mentali evoca nella tua mente?”. Con tali domande lo studente è portato a chiedersi quanto siano pregnanti di significato i concetti che usa normalmente e spesso superficialmente. Diventa consapevole che è facilitato nella comprensione quando sa riempire di significato pregnante ogni concetto che usa. Ad esempio è molto probabile che la parola “enzima” non evochi una chiara immagine mentale: lo studente non riesce a riempirla di significato e pertanto la comprensione è molto bassa. Partendo da tale prospettiva, è possibile definire la comprensione come la capacità di attribuire in modo pregnante un significato pieno ai termini e ai concetti che usiamo.

L’obiettivo dell’insegnante che accoglie l’impostazione gestaltica è quello di realizzare la massima pregnanza di significato dei concetti essenziali della propria materia. Un insegnante di scienze biologiche, ad esempio, desidererà che i suoi studenti abbiano una pregnanza altissima di significato, quando si parla di “funzione clorofilliana”. Un insegnante di fisica, dal canto suo, desidererà che i suoi studenti abbiano una alta pregnanza di significato quando devono determinare il “principio della leva”, con tutte le sue numerose applicazioni. Un insegnante di filosofia, invece, vorrà che i suoi studenti riempiano del massimo significato il termine “giustizia”. Ogni insegnante, in sostanza, può elaborare una lista delle parole essenziali della propria disciplina, e verificare quanta pregnanza di significato gli studenti attribuiscono a quelle parole-chiave.

Il principio dell’esperienza passata

Si percepisce meglio quello che può essere inserito in schemi già acquisiti. L’esperienza passata è così raccolta nello sfondo, il quale, nella Teoria della Gestalt, è considerato come spazio dinamico, fertile ed attivo. In altri termini, l’esperienza passata, depositata nello sfondo, è una fontxe di orientamento, dal momento chefornisce al momento opportuno un’idea, una segnaletica, un’indicazione

Il principio dell’esperienza passata può essere perciò denominato anche come “il potere dello sfondo”: lo sfondo è appunto un repertorio e una risorsa.

Il processo di apprendimento si traduce allora come continua ristrutturazione di figura-sfondo. Quando, ad esempio, non sappiamo risolvere un problema, possiamo ricorrere all’esperienza passata, ovvero alle risorse del nostro sfondo cognitivo ed affettivo, e ristrutturare, di conseguenza, i dati del problema, in modo da osservarlo sotto molteplici punti di vista.

Lo sfondo contiene tutte le figure, pur non essendo così determinato: lo sfondo è il luogo fertile da cui tutte queste figure emergono. È affascinante il potere della figura che si stacca dallo sfondo e quasi si protende verso di noi. Noi infondiamo nella figura tanta attenzione, concentrazione, affettività, ed essa, come un bassorilievo, si stacca dallo sfondo ed emerge in primo piano, quasi a diventare una scultura a tutto tondo. Senza questa particolare attenzione, la figura si discioglierebbe e sfumerebbe nello sfondo.

In che modo possiamo facilitare nell’allievo l’emergere di una figura dal suo sfondo?

Forse lo studente non è abituato a pensare positivamente allo sfondo; generalmente egli lo considera come un luogo di non conoscenza, un luogo vuoto. Invece, lo sfondo della sua mente è un repertorio che contiene molte risorse, è un silenzio che si anima di parole, è un museo di immagini che si trasformano e balzano come visioni alla mente. Tocca però all’insegnante saper evocare tali risorse. Quando questi stimola l’allievo ad esplorare la propria mente per individuare i propri significati, per coltivare le proprie forme e configurazioni, per ristrutturare architetture concettuali, lo aiuta a percepire la fecondità del proprio sfondo. Socrate era solito usare la metafora, molto bella, dell’ostetrico che aiuta la donna pregna a partorire; ebbene, un insegnante che accoglie l’approccio gestaltista, aiuta, allo stesso modo, lo studente a far emergere in primo piano, come un bassorilievo, le sue immagini mentali.

L’effetto di contrasto figura-sfondo nell’insegnamento e nell’apprendimento

Per insegnare bene e per far apprendere bene è necessarioutilizzare l’effetto di contrasto figura-sfondo, isolando e ponendo in primo piano un concetto, un argomento, una teoria. Così agendo, l’aggiunge un valore altamente didattico a tale concetto: lo “aiuta” ad imporsi con chiarezza alla percezione degli studenti, ad emergere cioè nella sua forma migliore, più pregnante.

L’insegnante può dire:

Adesso concentratevi su questo aspetto particolare della teoria. Osservate questo passaggio. Fate attenzione a questo termine. Esso è la chiave che ci apre altri orizzonti. Mettete da parte per un momento questa prospettiva e concentriamoci su questo settore più limitato. Poi torneremo alla visione generale”.

Queste frasi sono degli esempi del modo in cui l’insegnante può utilizzare efficacemente l’effetto di figura-sfondo sia nella pratica nell’insegnamento sia nella cura dell’apprendimento dei suoi studenti.

L’uso dell’effetto di contrasto figura-sfondo deve essere comunque molto accurato: la figura deve essere ben decisa, altrimenti si crea una sensazione fastidiosa di ambiguità o di confusione. Ciò che emerge in figura deve possedere un contorno ben differenziato, netto e marcato, mentre lo sfondo deve essere indifferenziato e sfocato. Quando invece la figura non è molto ben delineata o lo sfondo non è molto indifferenziato, si verifica un disturbo dell’attenzione e della concentrazione.

L’effetto von Restorff è un’applicazione particolare dell’effetto di contrasto figura-sfondo. Von Restorff (1927) ha approfondito il tema dell’isolamento di un oggetto rispetto agli altri ed ha notato che l’elemento isolato diventa una figura e il resto diventa sfondo. L’uso sistematico in classe dell’effetto von Restorff crea una notevole attenzione negli studenti. Invece di tediare gli studenti con inviti a stare più attenti è meglio utilizzare questo effetto percettivo, che consiste nell’isolare un elemento all’interno di un insieme. È sufficiente questo “stratagemma percettivo” per ottenere un buon livello di attenzione.

Si facilita la percezione, dunque, quando all’interno di una pagina una parola è sottolineata, cerchiata, incorniciata, evidenziata con un colore; in tal caso, l’occhio è attirato quasi involontariamente dall’elemento diverso che diventa figura, mentre tutto il resto diventa sfondo10.

L’attenzione è il risultato della relazione figura-sfondo

L’attenzione è la capacità di stabilire ciò che deve emergere in figura e ciò che deve rimanere sullo sfondo. L’attenzione è essenzialmente una selezione delle informazioni. Siamo noi che scegliamo di orientare la nostra attenzione su alcuni aspetti trascurando provvisoriamente gli altri. Possiamo far emergere qualcosa in primo piano e poi lo possiamo mettere da parte e concentrarci su altro oggetto; possiamo concentrare la nostra attenzione sui particolari e sull’insieme.

L’attenzione dunque è la capacità di usare in modo flessibile l’effetto di contrasto figura-sfondo, per guidare la nostra mente.

Va fatta però una precisazione. Molti di noi considerano l’attenzione come la concentrazione della mente su un determinato oggetto, trascurando tutto il resto. Nella Teoria della Gestalt l’attenzione non è solo questo: è anche la capacità di spostarsi rapidamente dal primo piano allo sfondo e cercare nello sfondo, in modo sistematico oppure a salti, elementi significativi. È una abilità molteplice quindi di spola tra figura e sfondo.

Attenzione alle differenze e somiglianze.

E più facile percepire delle differenze rispetto alle somiglianze.

Le differenze, infatti, sono percepite facilmente grazie all’effetto contrasto e al fenomeno figura-sfondo. Le somiglianze, invece, rappresentano delle piccole differenze, delle sfumature: in loro l’effetto di contrasto è fioco e debole. Senza confini ben delineati l’effetto di contrasto è notevolmente ridotto e spesso le piccole differenze non sono percepite. Ma noi possiamo amplificare la piccola differenza usando l’effetto di contrasto figura-sfondo.

VII. CONOSCENZA COME RISTRUTTURAZIONE E RICOSTRUZIONE

La conoscenza non è eclettismo11, vale a dire raccolta superficiale di informazioni, ma ristrutturazione dei dati in funzione di un bisogno conoscitivo o in vista della soluzione di un problema. Tale ristrutturazione è guidata dal criterio dell’integrazione: lo studente cerca di dare unità, integrazione, alle molteplici esperienze.

L'insegnante che valorizza l’impostazione gestaltica si focalizza quindi non soltanto sulle informazioni ben strutturate , ma e soprattutto sulla capacità integrativa degli studenti, i quali vengono invitati a ristrutturare le informazioni in modo personale In altre parole, il docente è costantemente attento a sollecitare gli studenti ad essere consapevoli del modo in cui stanno ricevendo, rielaborando, assaporando, masticando, destrutturando, distruggendo, ricostruendo, riconfigurando le informazioni che egli ha offerto loro.

Secondo la prospettiva gestaltica (F. Bartlett 1932, G. Katona1940) la memoria è infatti un processo attivo di rielaborazione delle informazioni. Non solo il pensiero ma anche la memoria è un processo di ristrutturazione e di ricostruzione. Possiamo considerare la memoria come lo sfondo della mente, il quale, come già visto, ha la caratteristica di essere dinamico: ricordare qualcosa non significa avere una replica esatta di una situazione dato che implica un lavorio di estrazione, di ricostruzione, di rielaborazione.

Transfer come ristrutturazione e continua costruzione di schemi mentali.

Il transfer è la capacità di utilizzare l’esperienza precedente in situazioni nuove:“Come posso vedere questa situazione in maniera differente utilizzando l’esperienza del passato?”.

L’intelligenza è una continua costruzione di schemi o mappe cognitive. La crescita dell’intelligenza è una costruzione di schemi, che sono perfezionati continuamente in base all’esperienza. Tale attività dell’intelligenza è costituita da due aspetti: da una parte “incorporiamo” le nostre esperienze negli schemi mentali che già possediamo, dall’altra, che agisce in simultanea, adattiamo o accomodiamo i nostri schemi per aderire ai particolari, ai dettagli, alle dimensioni nuove dell’esperienza. Nella ristrutturazione noi diamo un’interpretazione alle nuove informazioni e le confrontiamo con gli schemi di conoscenza precedentemente acquisiti.

La ristrutturazione come pensiero produttivo

Secondo M. Wertheimer, la ristrutturazione dei dati è la strada che conduce alla soluzione: bisogna essere capaci di vedere il problema da un altro punto di vista o in una luce diversa o di assegnargli una buona forma, una forma più pregnante.

Nei loro lavori, Max Wertheimer e Duncker (1935, tr.it. 1969), si chiedono: “Come si giunge alla scoperta della soluzione? Quali sono le vie per arrivare alla soluzione di un problema?”12. .

n particolare, secondo M. Wertheimer (1959) il pensiero produttivo coincide con la capacità di generare soluzioni nuove, originali e adatte alla situazione13. Tale modalità si oppone al pensiero riproduttivo, che utilizza le conoscenze acquisite precedentemente e le applica meccanicamente senza osservare la novità della situazione e senza ristrutturarle per adattarle meglio alla novità.

M.Wertheimer, all’inizio del suo libro intitolato Il pensiero produttivo, (1959 tr.it. 1965, pag. VII), scrive: “Di tanto in tanto, il nostro pensiero funziona davvero in modo proficuo, si fa strada, scopre nuovi orizzonti. Che cosa avviene allora, effettivamente?”. Ovvero: “Che cosa succede quando uno pensa veramente e pensa in maniera produttiva? Quali possono essere, nel pensiero, i tratti essenziali, i passaggi decisivi? Come si realizzano? Da dove proviene il lampo, la scintilla? Quali sono le condizioni, gli atteggiamenti favorevoli o sfavorevoli a questi eventi così singolari? Qual è la vera differenza tra pensare bene e pensare male? E, in relazione a queste domande: come migliorare il modo di pensare? il nostro modo di pensare? Il pensiero in sé?”.

Queste domande aprono un vasto orizzonte14 di ricerche che oggi sono ben accolte all’interno del tema della metacognizione o riflessione su come conosciamo e controlliamo il nostro pensiero. Sono domande che inducono a pensare a una nuova modalità didattica, che è quella di guidare l’allievo a diventare consapevole del proprio processo di pensiero, sia quando è produttivo, sia quando è improduttivo, sia quando è corretto sia quando è sbagliato. Soltanto in questo modo, egli si riappropria di uno strumento fondamentale che gli può servire sempre nella vita.

Ogni studente si sente più attivo quando diventa più consapevole delle proprie strategie di apprendimento e di rielaborazione; sente che può controllare il processo di apprendimento; avverte la gioia dell’intuizione, dell’insight, della ristrutturazione; diventa coraggioso di fronte ad un’ipotesi che si rivela sbagliata o scorretta; impara a imparare; impara a pensare in modo produttivo.

VIII. LA PRIORITÀ DELLA RELAZIONE EDUCATIVA SULLA DIDATTICA

La Teoria della Gestalt è molto decisa nell’affermare la priorità della relazione educativa sulla didattica: è necessario prima creare una buona relazione educativa e solo dopo è possibile insegnare, facilitare l’apprendimento e prendersi cura del percorso formativo di ogni studente..

Una buona relazione educativa valorizza l’insegnamento e l’apprendimento. Una cattiva relazione disturba e blocca l’apprendimento e distrugge la motivazione o voglia di imparare.

La priorità della relazione educativa emerge in modo evidente quando lo studente sbaglia o quando è scoraggiato. Quando sbaglia, ha bisogno di essere corretto, ma è necessario però imparare a correggerlo senza distruggere il valore della sua persona o il livello della sua autostima. Quando lo studente è scoraggiato, l’insegnante può aiutarlo utilizzando come leva la relazione affettiva ed emozionale.

Le caratteristiche relazionali che gli studenti apprezzano di più nei propri insegnanti sono le seguenti:

la capacità di stabilire un buon contatto;

l’essere rispettosi;

il presentare in modo piacevole, divertente e chiaro le informazioni;

la capacità di ascoltare le idee altrui, anche se sono opposte alle proprie

La Teoria della Gestalt considera la relazione didattica ed educativa come un evento contatto autentico e la scuola come il luogo privilegiato dello scambio e dell’incontro culturale, umano, sociale. La dimensione sociale della Teoria della Gestalt è stata espressa da F.Perls, R.F.Hefferline, P.Goodman (1951, tr.it., 1971) e particolarmente da P.Goodman (1956, tr.it. 1964). Nella prospettiva gestaltica, la relazione educativa è fondata sull’incontro per imparare insieme, per crescere insieme: un incontro che cambia e che trasforma.

CONCLUSIONI

Riassumiamo le caratteristiche essenziali della Teoria della Gestalt.

La Teoria della Gestalt è focalizzata sull’esperienza di contatto che avviene qui e ora, in questo contesto relazionale. Prende in considerazione il campo vitale di ciascuno,tanto dell’insegnante quanto degli studenti. Si interessa alla complessità e alla globalità dell’esperienza, senza trascurare nulla, ma accogliendo ed integrando tutto ciò che emerge.. Nella prospettiva gestaltica sono rispettati i bisogni i bisogni autentici di autorealizzazionedi ciascuno. Si stimola l’apprendimento come esperienza e come fontxe di apprendimento. Si valorizza l’affettività e il significato attribuito a ciò che si apprende. Si concepisce la conoscenza come una continua organizzazione e riorganizzazione delle informazioni in base a bisogni, scopi e significati. Si afferma che l’apprendimento non è accumulazione, ma ristrutturazione o insight. Si insiste costantemente sul coinvolgimento e sull’interesse perché essi danno valore, orientamento e significato a ciò che si apprende. Si stimola nello studente l’autonomia e l’indipendenza. Si rispetta il tempo di assimilazione e di ristrutturazione cognitiva ed esistenziale. Si propongono contenuti didattici da masticare, destrutturareed assimilare. Si valorizza l’esperienza di contatto tra insegnanti e studenti: un incontro vero, autentico, fatto di condivisione, di idee e di affetti.

Per tutte queste ragioni la Teoria della Gestalt ha molte risorse per candidarsi come una solida Psicopedagogia capace di dare risposte sia sulla didattica sia sulla relazione. È dunque finalmente possibile cominciare a costruire una Psicopedagogia gestaltica.

BIBLIOGRAFIA

BECCHI, E., 1961, La pedagogia della « Gestalt », La Nuova Italia, Firenze.

BROWN, G.I. 1971, Human teaching for human learning: An introduction to confluent education. New York: Viking,. Highland, NY.

BROWN, G.I. 1970, Now toward humanness: Introducing confluent education. New York: McGraw-Hill.

BROWN, G.I., & MERRY, U. 1987, The neurotic behavior of organizations. New York: Gardner Press-

BROWN, G.I., ed. 1975, The live classroom: Innovation through confluent education and gestalt. New York: Viking. Penguin, 1976.

CAVALERI, P., LOMBARDO, G., USAI, C., 1993, “Insegnante -allievo: Una relazione nell’ottica della Gestalt Terapia”, in Quaderni di Gestalt, n. 16/17 pagg. 57-67.

CLARKSON. P., 1989, “Gestalt-Counseling. Per una consulenza psicologica proattiva nella relazione di aiuto”. ( tr. it. 1992 Sovera, Roma).

DEWEY, K.S., 1974, “Frederick Perls’ ideas as rationale for developing Gestalt art education.”, Boston University School of Education, dissertation.

FARACI, T., 1991, “Psicologia della Gestalt e Psicoterapia della Gestalt: un rapporto difficile”, in Quaderni di Gestalt, n. 12, pagg. 51-57.

FROM I., 1985, “Requiem for Gestalt”, in Quaderni di Gestalt, n. 1, pp. 22 - 32.

GOLDSTEIN,K., 1939. The organism, New York, American book

GOODMAN, P. 1960, Growing up absurd: Problems of youth in the organized society. NY: Vintage/Random House. Dedicated to Lore Perls.

GOODMAN, P., 1977, Nature heals: Psychological essays. Edited by Taylor Stoehr. NY: Free Life Editions.

GOODMAN, P., 1962. Utopian essays and practical proposals. NY: Vintage/Random House.

GUILLAUME, P., 1968, La Psicologia della forma, Giunti, Firenze.

HARPER, R.A., BAUER, R. & KANNARKAT, J., 1976, “Learning theory and Gestalt therapy.” American J. Of Psychotherapy, 30:55-72.

HENLE M., 1981, La Psicologia della Gestalt e la Terapia della Gestalt, in P. Scilligo - M. S. Barreca (a cura di) Gestalt e Analisi Transazionale, vol. I, Roma, L.A.S., pp. 73 - 87.

KANIZSA E LEGRENZI, (a cura di) Psicologia della Gestalt e Psicologia cognitivista, Il Mulino, Bologna, 1978.

KANIZSA, G., CARAMELLI N., 1988, L’eredità della Psicologia della Gestalt. Il Mulino, Bologna.

KANIZSA, G., 1980, Grammatica del vedere. Saggi su percezione Gestalt, Il Mulino, Bologna.

KATONA G., 1972, Memoria e organizzazione, Giunti, Firenze.

KATZ, D., 1950, La Psicologia della Forma, Einaudi, Torino.

KOFFKA K., 1970, Principi di Psicologia della Forma, Boringhieri, Torino.

KÖHLER W, 1966, Principi dinamici in psicologia, Giunti, Firenze.

KÖHLER W., 1965, La mentalità delle scimmie antropoidi, Feltrinelli, Milano,.

KÖHLER W., 1962, La Psicologia della Gestalt, Feltrinelli, Milano.

KOHN, G. 1971, “Gestalt therapy in vocational and educational counseling.” Presented at the American College Personnel Association Convention, April 4-8, 1971, Atlantic City, NJ.

KOHN, G. 1967, “Learning disorders. The need for early diagnosis and treatment of children having emotional problems.” Paper presented to the Lutheran Teachers Conference, Southern California District, San Bernadino, CA, November 1967.

KOHN, G. 1967, “The community learning center: Educational therapy and the development of human potential.” Paper presented at the Counseling Conference, California Counseling and Guidance Association, Fullerton State College, Fullerton, CA, October, 1967.

KOHN, G. 1972, “Using Gestalt therapy in counseling with poorly motivated students.” Presented at American Personal & Guidance Association, March 26-30, 1972, Chicago, IL.

KOHN, G., 1971, “Using Gestalt therapy of Fritz Perls in a special school setting with educationally handicapped and poorly motivated students.” Presented at the California State Psychological Association, January 29-31, 1971, Coronado, CA.

KOHN, G. 1971, “Using Gestalt therapy of Fritz Perls in vocational and educational counseling with potential drop outs, drop outs, and poorly motivated individuals.” Presented at the California Personnel & Guidance Association, February 19-21, 1971, San Francisco, CA.

KOHN, G., et al., 1972, “Gestalt therapy workshop: Developing awareness, responsibility and integration with students and their parents in a school setting.” Presented at the California State Psychological Association, January 27-30, 1972, Los Angeles, CA.

LERGESSNER, J.B., 1975, “Paul Goodman’s critique of formal schooling: Search for incidental learning.”, Australian J. Of Education, 19(3):236-50.

LEWIN,K., 1935, Teoria dinamica della personalità, tr. it., Firenze, Giunti 1965).

MC CARTHY, D.N. “Gestalt as learning theory.” In Brown, G.I., ed., 46-51.

METZGER W., 1971, I fondamenti della Psicologia della Gestalt, Giunti Barbera, Firenze.

MILLER V. M., 1994, “Gestalt Therapy 40 anni dopo”, Quaderni di Gestalt , 18/19, 21- 35.

MONTZ, R.D., 1972, Awareness, response and responsibility: A model of the confluently educated person. Santa Barbara: DRICE.

MONTZ, R.D., 1969, Five ultimate goals for education: A new approach based on the implications of Gestalt therapy. Santa Barbara: U. of California, unpublished.

NEVIS, E. C. (Ed.), 1977, Gestalt therapy: Perspectives and Applications, New York: Gardner Press (Gestalt Institute of Cleveland Press series)(1992) NEVIS, S. Lectures on group process. Cleveland: Gestalt Inst. of Cleveland.

NEVIS, E.C., 1986, A Gestalt Approach to Organizational Consulting. Cleveland: Gestalt Inst. of Cleveland Press.

NEVIS, E.C., 1987, Organizational Consulting: A Gestalt Approach, New York: The Gestalt Institute of Cleveland Press

NISENHOLZ, B., & MC CARTHY, F.H., 1976, “Use of gestalt counseling in supervising student teaching.”, Peabody J. Of Education, 53(2):76-80.

O’DONNELL, W.E., 1978, The relative effectiveness of transactional analysis group counseling vs. gestalt group counseling in effecting change in male junior high school truants. Washington, DC: Catholic U. of Amer., diss.

OAKLANDER, V., 1978, Windows to our children: A Gestalt therapy approach to children and adolescents. Moab, UT: Real People Press.

OAKLANDER, V., 1986, “La Terapia della Gestalt e i bambini”, Quaderni di Gestalt, n. 3, 83 - 96.

OKERE, N.S, 1984, The application of Gestalt psychotherapy principles to learning: A case study of resistance in adult education. Malibu: Pepperdine U., diss.

PASSONS W. R., 1975, Gestalt Approaches in Counseling, Holt, Rinehart and Winston,

PEARLMAN, B.T., 1976, “A paradigm analysis for confluent education.” U. of Ca., Santa Barbara, diss.

PERLS, F., HEFFERLINE, R. & GOODMAN, P., 1965, Gestalt therapy: Excitement and growth in the human personality. NY: Julian Press, 1951; NY: Dell, NY: Bantam.

PERLS, F., HEFFERLINE, R.F., GOODMAN, P., 1951, Teoria e pratica della Terapia della Gestalt, tr. it., Astrolabio, Roma, 1971.

PHILLIPS, M., 1976, “The application of gestalt principles in classroom teaching.” Group And Organizational Studies, 1(1):82-98.

POLSTER, E. - POLSTER, M., 1986, Terapia della Gestalt integrata, Giuffrè, Milano.

POLSTER, E.A. & POLSTER, M. 1973, Gestalt therapy integrated. NY: Brunner/Mazel, NY; Random House/Vintage, 1974.

RICHARDS, E.G., 1983, The effects of deliberate psychological education and human relations training on middle school teachers. Doctoral dissertation, Kent State University.

SCHRAG, F., 1972, “Learning what one feels and enlarging the range of one’s feelings.” Educational Theory, 22(4):382-94.

SHIFLET, J.M. & BROWN, G.I., 1972, Confluent education: Attitudinal and behavioral consequences of confluent teacher training. La Jolla, CA.: Psychology and Consulting Associates, 1978.

SPAGNOLO LOBB, M., 1991, “La formazione in Gestalt Terapia”, Quaderni di Gestalt, 13, 5-15.

STANLEY M.H., KOREMICK, M., 1988, Authentic management: A Gestalt orientation to organizations and their development”, Addison-Wesley Dublishing Company.

WERTHEIMER, M., 1969, Il pensiero produttivo, Giunti, Firenze.

YEOMANS, T., 1973, Toward a confluent theory of teaching English. Santa Barbara: U. of California, dissertation.

1 Tale lista è stata spesso modificata, è stata allungata e accorciata, perché molti principi di unificazione possono essere associati e contenuti sotto la stessa categoria. Ad esempio, il principio di chiusura, di buona continuazione, di equilibrio, di simmetria, possono essere contenuti sotto il principio della pregnanza e della buona forma.

2 Partendo da quegli studi, F. Perls aveva impostato la Teoria della Gestalt come sostegno a completare le esperienze incomplete, gli unfinished business, e completare le parti mancanti della propria personalità, i vuoti, i buchi, le lacune, le carenze.

3 Zeigarnik (1927) e Ovsiankina (1928) hanno dimostrato, attraverso numerosi esempi, che le situazioni o esperienze o compiti incompiuti, non conclusi, irrisolti, creano una tensione che si placa solo quando sono conclusi, completati. Nelle situazioni di compiti interrotti avevano notato che la memoria era più grande e più accurata di quella che riguardava compiti completati e portati a termine. Quando una attività è portata a termine la tensione, che permetteva di far convogliare su di essa l’attenzione, si allenta e si dissolve. Le persone ambiziose tendono a riprendere i compiti interrotti in misura molto maggiore dei soggetti non ambiziosi. Tale osservazione è stata fatta da Zeigarnik (1927).

4 Scrive F. Perls: “La tensione che deriva dal bisogno di chiusura è detta frustrazione, la chiusura è detta soddisfazione. Satis - abbastanza, facere - fare. Far sì che si abbia abbastanza” (F. Perls 1969, tr.it. 1991, p. 89).

5 M. Wertheimer (1959 tr.it. 1965 pag. 133) scrive: “Un esempio per comprendere la tendenza che possediamo alla simmetria, alla buona forma, alla struttura, è quella di osservare il modo in cui i soggetti accoppiano i numeri. Questo è frequente in certi contabili che, invece di fare lunghe addizioni, cercano quelle coppie o quei terzetti che possono dare i numeri tondi”.

6 Tutte queste caratteristiche possono essere raggruppate in una sola parola e denominate con il termine di pregnanza. Una buona forma è una forma pregnante. Una forma pregnante costituisce una buona forma.

7 Quando noi segniamo sul foglio tre punti, per esempio, non vediamo più tre punti, ma vediamo un triangolo. In altri termini, utilizziamo una struttura, una Gestalt, che ci permette di dare forma a dei punti. Quando vi sono molti punti è più facile riconoscere, ricordare la loro disposizione, se noi assegniamo una configurazione più concreta e familiare, come è stato fatto per definire le varie costellazioni dello Zodiaco.

8 Nel confronto tra principio della verosimiglianza e principio della semplicità, “vince” il principio delle verosimiglianza. Così come dimostrato negli esperimenti di Leeuwenberg e Boselie (1988), la percezione tende verso l’organizzazione che rappresenta l’evento più probabile (si nota che i soggetti preferiscono percepire la sagoma di due cavalli sovrapposti, che non un cavallo bizzarro, più semplice da percepire come forma, ma più improbabile).

9 Attraverso il principio della buona forma, l’insegnante può recuperare la dimensione estetica della visione concettuale, che è stata trascurata per molto tempo. Quando invita gli studenti a prendersi cura della loro mente e a coltivarla secondo il principio della buona forma, li sollecita ad un senso armonioso, artistico ed estetico, con il quale è possibile integrare le polarità concettuali ed esistenziali: si ha una bella mente; si recupera la bellezza architettonica della teoria, della visione.

10 Allo stesso modo, la percezione è facilitata dallo spessore e dalla grandezza delle linee e delle frecce che in uno schema collegano i vari concetti. Le linee più spesse dello schema attraggono l’attenzione, perché sono un elemento di figura rispetto ad altre linee, che sono meno spesse. Con questa marcatura un po’ convenzionale, si vuole indicare che tra i due elementi vi è una relazione più forte rispetto alle altre. All’interno di uno schema, gli elementi rappresentati in caratteri più grandi sono percepiti come più importanti di quelli rappresentati in caratteri più piccoli. Quando si propone uno schema didattico, bisogna scegliere le informazioni essenziali ed evitare di accumulare troppe informazioni; bisogna creare un equilibrio all’interno delle varie informazioni, distribuendo accuratamente quei segnali che attivano l’effetto von Restorff per evitare una eccessiva evidenza di un elemento rispetto all’altro. Questo consiglio è importante soprattutto quando l’insegnante desidera canalizzare l’attenzione verso l’insieme dello schema, verso l’insieme delle relazioni degli elementi che compongono questo schema.

Il colore può essere utilizzato per attirare l’attenzione su un oggetto, all’interno di un campo che diventa sfondo. Se tale colore è forte rispetto allo sfondo, esso cattura l’attenzione in modo facile e continuato. I colori, inoltre, possono essere utilizzati come un buon aiuto nell’identificazione di certi oggetti. Quando noi sottolineiamo un libro con un colore particolare, vogliamo identificare quella parte come importante rispetto ad un nostro criterio.

L’elemento isolato in qualche modo dallo sfondo, attrae la nostra attenzione. Il movimento all’interno di un campo attira la nostra attenzione, perché diventa figura rispetto al resto del campo, che rimane fermo, stabile e indifferenziato. Perciò siamo sensibili ai cambiamenti. Gli elementi stabili diventano sfondo, i cambiamenti diventano figura. La nostra mente è predisposta ad avvertire con rapidità e a cogliere con accuratezza il cambiamento all’interno della stabilità di altre informazioni. Per questa ragione è importante introdurre nelle lezioni elementi nuovi. Un elemento inedito attrae immediatamente l’attenzione, mentre elementi già noti possono creare un senso di saturazione, di noia, di disinteresse. Invece di fare prediche interminabili sull’attenzione e sull’impegno nello studio, è molto facile attirare l’attenzione se si presentano agli studenti informazioni nuove o le stesse ma presentate in modo originale.

11 Scrivono Perls, Hefferline e Goodman (1951 tr.it. 1971 pag. 12): “Noi crediamo che assimilando tutte le sostanze di valori che le scienze psicologiche della nostra epoca possono offrirci, veniamo a trovarci nella posizione adatta per proporre la base di una psicoterapia coerente e pratica. Perché, allora, come suggerisce il titolo, diamo la preferenza al termine “gestalt”, quando prendiamo egualmente in considerazione la psicoanalisi freudiana e quella parafreudiana, la teoria reichiana della corazza, la semantica e la filosofia? A questa domanda dobbiamo rispondere: Non eravamo benevolmente disposti all’eclettismo; nessuna delle discipline menzionate è stata inghiottita per intero, né artificialmente sintetizzata. Sono state tutte criticamente esaminate ed organizzate in una nuova totalità, in una teoria comprensiva”.

12 Duncker (1945) aveva posto un quesito: “Come distruggere con i raggi X un tumore inoperabile, senza distruggere i tessuti sani che lo avvolgono da ogni parte?”. Per risolvere tale problema, si possono proporre varie possibilità e soppesare la loro validità. Ad esempio si può diminuire l’intensità dei raggi X, ma in questo modo essi non sarebbero sufficienti per agire sul tumore. Un’altra soluzione potrebbe essere quella di aumentare l’intensità del raggi X: ma in questo modo si potrebbero distruggere anche i tessuti sani. Attraverso l’analisi di tali proposte di soluzione si sceglie quella più valida ed efficace, che consiste in una nuova ristrutturazione delle precedenti: si tratta di far convergere sul tumore diverse sorgenti di raggi X ma caratterizzati da debole intensità: in questo modo è possibile sommare gli effetti benefici e si evita il rischio di ledere i tessuti circostanti.

13 Legato alla tematica del problem solving vi è il tema del transfer. Dopo che una persona è stata capace di dare una soluzione ad un problema come può generalizzare tale acquisizione, in modo da applicarla ad altri eventuali problemi?

14 Può sembrare strano che queste concezioni siano state scritte in un manoscritto del 1945, pubblicate nel 1959, ma che siano rimaste un po’ sconosciute o trascurate. Forse era necessario un nuovo paradigma, come quello cognitivo e metacognitivo, per farle risuonare nuove e percepire fresche, aperte e ricche di nuove indicazioni teoriche e didattiche.

 

 

Laboratorio Itals newsletter

Iscriviti per essere notificato quando é disponibile un nuovo numero del Bollettino ITALS

Abbonamento a Laboratorio Itals newsletter feed

Contatti

Per informazioni contattaci ai seguenti recapiti


Per informazioni sui Master: