Giugno 2005  Supplemento alla rivista EL.LE - ISSN: 2280-6792
Direttore Responsabile: Paolo E. Balboni
Nuove prospettive per la Glottodidattica. Conversazione con Paolo E. Balboni di Rita Minello

Paolo Balboni è nato nel 1948, tra Emilia e Toscana e ha ben presto vissuto l’esperienza dell’emigrazione in Sud America, rientrando in Italia da adolescente. È considerato un punto di riferimento della glottodidattica contemporanea. Professore ordinario di Didattica delle Lingue Straniere Moderne e attuale Preside della Facoltà di Lingue e letterature straniere dell'Università Cà Foscari di Venezia, è direttore di riviste scientifiche di linguistica e didattica e autore di numerosi saggi e volumi sulla didattica delle lingue.

In ambito internazionale ha dato particolare impulso alla didattica dell’italiano come lingua straniera, per la quale ha fondato nel Dipartimento di Scienze del Linguaggio il Laboratorio Itals, che si occupa di tematiche connesse alla didattica della lingua italiana come L2 e LS.

Nell’intervista che ci ha rilasciato abbiamo colto l’occasione per esaminare le nuove prospettive della didattica della lingua italiana e, più in generale, delle lingue straniere. In particolare, ci siamo preoccupati di definire le nuove tendenze della glottodidattica della lingua italiana.

 

 

L’INTERVISTA

 

La conversazione che qui trascriviamo nasce direttamente da alcune interessanti suggestioni offerte in varie occasioni pubbliche dal Professor Paolo Balboni, che ci spingono ad approfondire il dibattito sulle attuali coordinate concettuali di una materia dalla complessa natura interdisciplinare quale la glottodidattica, nelle sue specifiche relazioni con l’acquisizione della lingua italiana.

 

 

L’attuale impostazione glottodidattica italiana affonda le sue radici nel contesto formativo e sociale degli anni Sessanta e si avvale dei cambiamenti intervenuti dagli anni Settanta ad oggi nel contesto scientifico, storico, sociale, antropologico.

Professor Balboni, quali elementi di continuità e quali distacchi rispetto al recente passato è possibile identificare nella riflessione glottodidattica contemporanea?

 

Negli anni Sessanta la glottodidattica era “pedagogia delle lingue”; negli anni Settanta e Ottanta è stata “linguistica applicata”. Oggi è glottodidattica tout court, una disciplina autonoma, che coglie implicazioni dalle scienze del linguaggio, da quelle neuro-psicologiche, da quelle della formazione e – visto che non si insegna solo la lingua ma il suo uso in contesti socioculturali, anche dall’antropologia, in senso lato.

Pur in una continuità di evoluzione – la natura non ammette salti di DNA, consente solo lente mutazioni, spesso impercettibili a chi le vive – un manuale di glottodidattica di oggi è diverso da uno di vent’anni fa in tutto: sia perché abbiamo molte informazioni, soprattutto neuro-psicologiche, che prima non c’erano, sia perché è cambiato il mondo, quindi la natura e lo scopo dell’insegnamento delle lingue nel nuovo mondo.

Ma soprattutto è nata una forte consapevolezza dei glottodidatti di non essere né linguisti né pedagogisti, ma esponenti di un’area di ricerca sull’acquisizione e l’insegnamento di un oggetto che

  • è allo stesso tempo sia oggetto sia strumento di acquisizione e di insegnamento,

  • non ha valore in sé ma in quanto strumento di comunicazione in un mondo in continua evoluzione e tra civiltà spesso in atteggiamento conflittuale.

 

 

Quali scopi, sociali e personali, caratterizzano le linee di evoluzione della glottodidattica contemporanea?

 

Lo scopo sociale della glottodidattica è quello di consentire agli uomini di capirsi, nella propria e in altre lingue. Se poi si capiscano per farsi una dichiarazione di guerra o un trattato di pace, al glottodidatta non interessa, purché si capiscano senza errori linguistici e culturali.

Lo scopo personale è quello di consentire ad ogni essere umano di:

  • arricchire il proprio progetto di sé attraverso il contatto, senza problemi linguistici, con i propri compagni di madrelingua e con persone di altre lingue: allargare l’orizzonte

  • di realizzare il proprio progetto di sé nella propria comunità linguistica e, se possibile, avendo la possibilità di farlo anche in altre comunità.

Il mondo è diviso in lingue e civiltà diverse: il glottodidatta si occupa di abilitare le persone a stabilire dei link tra quanti più mondi diversi sia possibile.

Che poi io, personalmente, lavori da anni alla politica linguistica europea, sia un convinto assertore – in dibattiti e scritti – del fatto che i conflitti di civiltà si gestiscono (non pretendo che si possano risolvere) se ci si parla e ci si capisce, è un altro discorso. Riguarda il glottodidatta Balboni, non la glottodidattica in sé.

 

 

Società multiculturale vs società interculturale: quali particolarità rendono diversi i due termini?

 

Le parole sono chiare, se solo le si osserva con attenzione: la prima prospettiva, quella multiculturale, descrive una società in cui ci sono molte culture, ma queste rimangono “molte”, separate, come macchie d’olio: talvolta si rispettano (ma sono guardinghe l’una verso l’altra), in altre occasioni una goccia d’olio assorbe le altre con cui viene in contatto, come è successo nella goccia WASP quando ha assorbito e fuso nel melting pot le gocce di immigrazione italiana, tedesca, polacca, ucraina, ecc.

Una società interculturale, invece, è basata sul contagio, sulla contaminazione, sul contatto (tre parole da osservare: iniziano tutte con il prefisso con-, e non a caso): è una società che non ha paura di parole come “bastardo”, “meticcio” e in cui “contagio” e “contaminazione” perdono la connotazione negativa. E’ una società in cui il prefisso inter-, “fra”, riprende tutto il suo valore pieno.

Certamente una società multiculturale è più semplice da gestire, purché le barriere tra le varie gocce d’olio siano ben sicure: si impedisce il conflitto alzando muri sociali, di rispetto, ma anche muri fisici, fatti di cemento o di filo spinato. Una società interculturale invece è aperta ai vantaggi ma anche ai problemi del contagio: è continuamente chiamata a chiedersi se e quale e quanto contagio accettare, quanto opporsi, quanto mescolarsi, quanto vaccinarsi.

A mio avviso la chiusura è un’illusione: la diversità, la differenza, viaggiano nell’aria come il polline, invisibile ma in grado di produrre semi, alberi, boschi che mutano il nostro paesaggio senza che ce ne avvediamo. Un esempio può servire: convinti che il castello della musica europea avesse le mura più forti, sicure e massicce del mondo, noi non l’abbiamo difeso, ritenendo che la nostra musica fosse la maggiore tra le gocce d’olio del panorama musicale del pianeta: conseguenza della mancata gestione del conflitto tra questa goccia e le altre, nonché dell’illusione che la torre d’avorio in cui avevamo collocato Mozart e Verdi fosse inattaccabile, è il fatto che i giovani sotto i trent’anni non hanno mai ascoltato Mozart e Verdi, se non quando sono usati come sigle televisive o jungle pubblicitari – e senza sapere che sono Mozart e Verdi.

A mio avviso sia la società multiculturale sia l’approccio multiculturale alla pluralità del nostro pianeta sono illusioni: possono servire in momenti di contatto iniziale, ma non servono ad evitare che la goccia più grande fagociti quelle più piccole, ingrossandosi sempre di più. L’abbiamo visto venendo lentamente assorbiti dalla cultura angloamericana; cosa vedranno i miei figli, in tempi di crescita tumultuosa di India, Cina, Russia, Brasile, non lo so – ma, almeno, in casa di un docente della Facoltà di Lingue i figli hanno sviluppati forti anticorpi interculturali per contrastare l’illusione multiculturale. Ma sono una ristrettissima minoranza.

Una attenta considerazione di questi due modelli di interazione può servire, secondo me, a dare un primo contributo alla gestione dei conflitti, trasformandoli in incontri.

 

 

Negli ultimi anni Lei si è occupato particolarmente della diffusione della lingua italiana nel mondo. Quali prospettive intravede a breve e medio termine?

Qualità. Il problema è la qualità. Ce n’è spesso molto poca, in molti corsi e scuole; ci sono ormai centinaia e centinaia di insegnanti qualificati, ma non riescono sempre ad avere riconoscimento per la loro qualità. In economia c’è un principio indiscusso: “la moneta cattiva scaccia quella buona”. Sta succedendo nel mondo dell’insegnamento dell’italiano, dove le scuole preferiscono pagare poco un insegnante scadente piuttosto che riconoscere il valore economico di un docente di valore glottodidattico.

Ma la globalizzazione, cioè la concorrenza estesa, ha imposto un altro principio: solo i prodotti di qualità conservano il mercato.

L’italiano nel mondo è a rischio laddove non è di qualità. Se un giapponese deve scegliere una lingua europea oltre all’inglese, perché dovrebbe optare per un italiano mal insegnato rispetto a un tedesco o uno spagnolo insegnati bene?

 

 

Come dobbiamo interpretare la recente esclusione della lingua italiana dalle lingue ufficiali usare in alcune funzioni della Comunità Europea?

 

In maniera politica. Da un lato l’esclusione è stata letta come una rivalsa politica per alcuni atteggiamenti del nostro Presidente del Consiglio, che ha troppo spesso attaccato gli organi comunitari in ordine al controllo delle statistiche economiche, ai parametri di Maastricht, alle leggi sulla concorrenza, sulla liberta di stampa in Italia, ecc.; dall’altro la vicenda Schultz prima e quella Buttiglione poi hanno ulteriormente radicalizzato certe posizioni della burocrazia europea. Ma questa lettura del “dispetto” non è esauriente.

In realtà l’italiano viene escluso (per ora è stato reintegrato nelle conferenze stampa, ma non è più lingua di lavoro) perché non c’è supporto politico e istituzionale sufficiente e moderno alla nostra lingua, come hanno rilevato il commissario Frattini ed il ministro Fini, senza per altro portare a mutamenti, finora, nella politica (o non politica) di sostegno alla qualità della diffusione dell’italiano.

 

 

Una nuova area di diffusione per l’insegnamento della lingua italiana è costituita dalla lingua seconda per immigrati. In che modo il suo gruppo veneziano intende occuparsi del fenomeno?

 

Da anni, anche per conto del MIUR, ce ne occupiamo: abbiamo un sito, la sezione ALIAS dentro il sito ITALS, dove si trovano materiali gratuiti da scaricare, informazioni, strumenti didattici, corsi…

Ovviamente non ci occupiamo solo di immigrati inseriti nella scuola: Paola Begotti ad esempio sta conducendo da mesi un gruppo di lavoro sull’insegnamento dell’italiano a immigrati adulti.

 

 

Sempre più spesso l’insegnante di lingua – italiana e non – deve confrontarsi con classi caratterizzate da mixed ability. Ciò rende più complessa l’applicazione delle consuete metodologie. Ha qualche consiglio in proposito?

 

Il problema pre-esisteva all’arrivo dei ragazzi stranieri, ma la loro presenza lo ha messo sotto i riflettori.

Perché le abilità sono miste? Meglio: sono le abilità ad essere miste, oppure sono da un lato dati individuali, come i diversi tipi di intelligenza e di stili di apprendimento, o sono le motivazioni ad essere miste, o sono i comportamenti dei docenti a far aggravare le differenze invece di appianarle? Questo vale per gli italiani che studiano una lingua straniera, il latino, l’italiano stesso; gli stranieri invece importano nella nostra scuola livelli differenti di competenza linguistica soprattutto nell’italiano scolastico, noto come CALP secondo una sigla di Cummins (“Cognitive and Academic Language Proficiency”). Non si tratta quindi delle tradizionali MAC, ma di casi nuovi, risolvibili solo con il supporto di laboratori di italiano L2, e con una didattica in cui tutti i docenti, di ogni disciplina, si fanno carico del recupero linguistico delle persone immigrate. Non esistono scorciatoie: lo dimostrano le storie dell’integrazione linguistica in Nord America e Nord Europa.

Comunque anche su questo tema un gruppo di lavoro, condotto da Fabio Caon, sta lavorando da un anno, e credo che presto verrà articolata una proposta ITALS sul modo di affrontare il problema delle M.A.C.

 

 

CONCLUSIONI

 

Il Professor Balboni è sempre così: chiaro e diretto nelle sue idee, non incline alla diplomazia accademica e politica del “dire senza dire”. Può permettersi questa libertà di parole perché il suo CV accademico e scientifico sono impressionanti: dalla funzione di Pro-Rettore all’Università per Stranieri di Siena a quella di Preside della Facoltà di Lingue a Venezia, da consulente per il MIUR a quello di partecipante a gruppi di lavoro dell’Ue, ha appreso che disquisire senza proporre almeno delle vie di analisi e soluzione è inutile; ed ha basato le sue proposte di analisi e soluzione su una bibliografia che include un centinaio di saggi, una dozzina di volumi, innumerevoli conferenze a convegni e dibattiti; tra i suoi libri più recenti, quello che raccoglie in sintesi la sua vasta produzione precedente è Le sfide di Babele: insegnare le lingue nelle società complesse (Torino, Utet Libreria, 2002); tra le opere di riferimento, ricordiamo il quadro di riferimento epistemologico contenuto in Dizionario di glottodidattica (Perugia, Guerra, 1999) e le indicazioni operative in Tecniche didattiche per l’educazione linguistica. Italiano, lingue straniere, lingue classiche (Torino, Utet Libreria, 1998). In “Parole comuni, culture diverse: guida alla comunicazione interculturale”, Balboni allarga la glottodidattica dalla ricerca sulla comunicazione verbale a quella sulla comunicazione culturale (Venezia, Marsilio, 1999).

Laboratorio Itals newsletter

Iscriviti per essere notificato quando é disponibile un nuovo numero del Bollettino ITALS

Abbonamento a Laboratorio Itals newsletter feed

Contatti

Per informazioni contattaci ai seguenti recapiti


Per informazioni sui Master: