Aprile 2016  Supplemento alla rivista EL.LE - ISSN: 2280-6792
Direttore Responsabile: Paolo E. Balboni
Elementi di linguistica italiana di Paolo Torresan

AUTORI: I. Bonomi, A. Masini, S. Morgana, M. Piotti  

TITOLO: Elementi di linguistica italiana   

CITTÀ: Roma  

EDITORE: Carocci  

ANNO: 20102

 

È giunto alla 2a edizione, ampliata e aggiornata, il volume oggetto di recensione. Costituisce una sorta di ‘breviario’, utilissimo per gli insegnanti di italiano LS che provengono da corsi di laurea non umanistici, o che comunque, pur provenendo da quelli, non hanno sostenuto esami di linguistica (come può capitare a un insegnante di lettere, per esempio).

Il testo si divide in quattro parti, ciascuno realizzata da uno specialista: la prima riguarda la sociolinguistica dell’italiano, la seconda le strutture dell’italiano (fonologia, morfologia, sintassi e lessico), la terza il testo e la pragmatica, la quarta la storia dell’italiano.

Le prime tre sono le più importanti per la formazione dell’insegnante di italiano LS; la quarta torna utile a chi insegna storia della lingua.

Ci concentreremo sulle prime tre, evidenziando i contenuti, a nostro parere, salienti. Riprenderemo alcuni esempi dal testo.

 

Nella prima si descrivono le varietà dell’italiano, secondo i classici parametri della sociolinguistica:

  • diafasici (il variare in funzione della situazione: registri, sottocodici o microlingue)
  • diatopici (varianti regionali, geosinonimi, ecc.)
  • diastratici (italiano popolare, italiano colto, ecc.)
  • diacronici (le variazioni nel tempo)
  • diamesici (il variare in funzione del canale; es. parlato vs scritto, con varietà intermedie, come il parlato-recitato dell’italiano cinematografico, orale su impronta scritta, o l’italiano trasmesso, via web, chat, ecc., che è di segno opposto, scritto con marche tipiche dell’oralità).

 

Si illustrano inoltre le caratteristiche dell’italiano parlato:

-       per la sintassi

o   gli ordini marcati

§  l’evidenziazione del tema

  • nella dislocazione a sinistra, del tipo, il giornale lo compra Mario [senza virgola nella resa scritta!], l’elemento noto, il giornale, è anticipato e ripreso poi da un pronome con funzione anaforica (che si riferisce ad un antecedente)
  • nel tema sospeso, dove invece, rispetto al caso precedente, non abbiamo un coordinamento sintattico (es: la mamma, le ho dato due baci).

§  l’evidenziazione del rema

  • nella topicalizzazione contrastiva, del tipo Il giornale compra Mario (accompagnata da un picco intonativo nel rema stesso) e che vale ad escludere altre alternative (es. il giornale, non le sigarette).
  • nella dislocazione a destra, caratterizzata da pronome con funzione cataforica (si riferisce a un elemento successivo della frase) lo compra Mario, il giornale
  • nella frase scissa, è Mario che compra il giornale

§  la messa in evidenza, insieme, di tema e rema

  • nel c’è presentativo; c’è qualcuno che ti chiama

o   l’uso del che polivalente come congiunzione subordinante (nel caso di subordinate non completive spesso con valore causale, es: vai a letto che è tardi)

o   l’uso della coordinazione mediante frasi semplici giustapposte (coordinazione asindetica)

-       per la morfologia

o   per il verbo

§  la ricchezza di sfumature modali dell’imperfetto, il quale non indica solo un’azione abituale svolta in passato o un’azione con durata indefinita svolta pure in passato, ma ha anche

  • un valore congetturale, tale da valere come equivalente del condizionale passato, es. pensavo arrivavi prima, o da comprendere sia la protasi che l’apodosi di un periodo ipotetico (se venivi, festeggiavi anche tu)
  • un valore di cortesia (volevo quel cappello)
  • un valore fantastico, tipico nelle simulazioni dei bambini o nella descrizione di un sogno

§  il restringimento dell’uso del futuro semplice a vantaggio del presente indicativo (a prescindere però dal futuro con valore epistemico) o di perifrasi con stare/ andare/ venire, che assumono un valore modale (forse su calco, precisiamo noi, di altre lingue): es: stiamo a guardare come si evolvono le cose, andiamo a presentare il prossimo cantante, vengo a concludere il mio ragionamento, oltre ai più diffusi stare per / stare + gerundio

§  il restringimento dell’uso del congiuntivo, specie per frasi completive (soggettive, oggettive, interrogative indirette), e in particolare riferimento all’uso della seconda persona singolare, a vantaggio dell’indicativo (credo che hai sbagliato a venire)

o   per i pronomi

§  la sovraestensione di gli dativo, sia per il plurale (a loro) che per il singolare (a lei)

§  l’uso di te soggetto (in parallelo al subentrare, più affermato, di lui al posto di egli)

o   per il lessico

§  la formazione di composti (apericena)

§  l’uso di termini inglesi, specie ripresi dal dibattito politico (stepchild adoption, jobs act), dall’economia, dalla moda.

§  l’uso di rafforzativi mediante ripetizione (Sei di Roma Roma?)

§  l’uso di diminutivi (attimino, vacanzina, soldino, ecc.)

§  la desemantizzazione di termini volgari (vaffanculo)

§  espressioni polirematiche accrescitive (un sacco di, un casino di, un mare di).

§  il diffondersi di verbi pronominali con un enclitico (capirci) o doppio enclitico (prendersela, legarsela al dito).

§  riduzioni sillabiche legate ad aferesi (sta mattina, bastanza bene) o troncamenti (ca’, vieni qua).

 

Si considerano poi alcune caratteristiche tipiche dei sottocodici, in particolare le microlingue scientifico-disciplinari:

  • la nominalizzazione
  • il prevalere della monosemia e quindi lo scarso ricorso a sinonimi, con conseguente abbondare di ripetizioni di termini, anche a breve distanza l’un dall’altro
  • il prevalere della denotazione
  • l’uso di sigle (modello GAS)
  • voci polirematiche (l’effetto trappola)
  • gli eponimi (costruzioni polirematiche che collegano il nome di un fenomeno al nome proprio dell’esperto che l’ha studiato, es. il filtro di Krashen)
  • verbi impersonali
  • il condizionale per conclusioni non certe
  • la prima persona plurale
  • il passivo, per mettere in risalto il nome
  • il presente indicativo

 

 

La seconda parte riguarda fonetica (e ortografia), morfologia, sintassi e lessico.

La sezione riguardante la fonetica è in verità molto sintetica; si tratteggiano i fonemi tipici dell’italiano, vocali e consonanti, con una rapidissima rassegna delle varianti regionali di pronuncia, per poi trattare, con altrettanta rapidità, l’accento e l’intonazione. Stessa cosa si affermi per la sezione del lessico. Insomma, l’insegnante di italiano non attinge informazioni a sufficienza in queste sezioni; deve per forza consultare altre fonti, a nostro parere.

Ricca ed elaborata è, invece, la sezione dedicata a morfologia e morfosintassi. Si considerano le nove parti del discorso (articolo, nome, aggettivo, verbo, avverbio, congiunzione, pronome, interiezione, preposizione), e di ciascuna si presenta una ricca tassonomia.

Per la sintassi, si presenta il sintagma, inteso come (116) “gruppo di parole che costituiscono un’unità nella frase” e che quindi possono avere una certa mobilità (oggi non vengo, troppo stanco = troppo stanco, oggi non vengo). Ciascun sintagma è caratterizzato da una testa, ovvero da un elemento saliente: es. nel periodo: “Il nostro vicino è cordiale: ci ha aperto, con il sorriso sulle labbra. Molto simpatico, davvero”; abbiamo 4 sintagmi, rispettivamente nominale, verbale, preposizionale, aggettivale.

Si passa quindi a considerare le relazioni tra le proposizioni:

-       di coordinazione (mediante congiunzioni o con la sola punteggiatura; sindetiche nel primo caso, asindetiche nel secondo; un caso particolare che sta tra i due è quello in cui le congiunzioni coordinino non proposizioni ma enunciati, assumendo un carattere testuale, come nel seguente caso: Lei era arrabbiatissima. E aveva voglia di sbattermi la porta in faccia).

-       di subordinazione (semplice o complessa, con vari gradi), mediante:

o   soggettive (svolgono la funzione di soggetto), del tipo: Bisogna aspettare;

o   oggettive (svolgono la funzione di oggetto), del tipo: Penso che piova

o   interrogative indirette, del tipo: non so se verrò

o   relative, realizzate mediante pronome relativo, riferito ad un oggetto che vale da complemento della reggente  (vediamo l’installazione che lui ha eseguito)

o   avverbiali (causali, finali, concessive, temporali, limitative, consecutive, modali, ipotetiche).

Nei vari casi, la subordinazione è realizzata mediante congiunzioni subordinanti, molte delle quali richiedono poi, nella secondaria, l’uso del congiuntivo.

 

 

La terza parte riguarda testualità e nozioni di pragmatica. È curata da Mario Piotti ed è a nostro parere, assieme alla parte legata alla sociolinguistica, la più riuscita per stile e completezza, senza rasentare il dettaglio specialistico né, all’opposto, trattare con eccessiva rapidità gli argomenti.

Si descrive innanzitutto che cosa sia un testo, e come un testo possa coincidere con un elemento minimo (anche monofrastico), per giungere ad unità più complesse. L’A. scrive (156):

 

La differenza tra la frase e il testo non si basa […] su fatti quantitativi, bensì su fatti qualitativi. Possiamo definire il testo come l’unità fondamentale dell’attività linguistica, dotata dei caratteri di unità, completezza e autonomia per rispondere a una precisa volontà comunicativa.

Il testo è quindi il frutto di un progetto con precisi obiettivi, è un messaggio che assume un senso solo se collocato in una situazione comunicativa. La dimensione del testo è infatti sempre interattiva: da un lato avremo un emittente, dall’altro uno o più destinatari; ciò fa sì che alla sua puntuale definizione e corretta interpretazione siano necessaria precise coordinate extralinguistiche: […] il testo non è tale se non è inserito in un contesto pragmatico.

 

L’A. passa in rassegna le tipologie testuali, attraverso un primo criterio tassonomico, forse il più famoso, quello di Weinrich, a dire del quale i testi sono divisibili (per quanto spesso nella realtà si diano forme di contaminazione) in:

 

  • narrativi (dal resoconto storico alla biografia, dall’articolo di cronaca al racconto, dal romanzo alla sceneggiatura di un film. Non sempre l’ordine consequenziale degli eventi è garantito; specie nei testi a carattere letterario si contano fenomeni di analessi o flashback, e di prolessi o anticipazione)
  • descrittivi (secondo caratteristiche spaziali o logiche)
  • espositivi (simili ai precedenti: attraverso strategie di analisi e sintesi si rappresentano concetti, teorie, fenomeni, definizioni, come nelle enciclopedie, nelle lezioni, nei testi divulgativi)
  • argomentativi (in cui si sostiene una tesi, come in molti testi scientifici, nelle omelie, nei programmi politici, ecc.)
  • istruttivi o regolativi (in cui si impartiscono ordini, consigli, ecc.)

 

In aggiunta, l’A. chiarisce le caratteristiche proprie di un testo.

-       in prima battuta considera i principi costituitivi, i quali ne normano la struttura, sia a livello intrinseco (intra-testuale) sia a livello estrinseco (pragmatico, quindi legato al ricevente). I principi costitutivi si possono distinguere:

o   in un primo gruppo avente carattere logico-linguistico:

§  la coesione, vale a dire la tenuta del testo, da un punto di vista morfologico, sintattico e di foricità (ovvero di riferimenti interni)

§  la coerenza, che può avere un carattere propriamente logico (violato nel caso di conclusioni gratuite), tematico (violato con l’andare fuori tema) o semantico (violato quando il testo pare costituito da libere associazioni, con scarsissima compatibilità tra parole, sintagmi, proposizioni)

o   in un secondo, definibile in termini pragmatici:

§  l’intenzionalità, vale a dire l’intenzione, e quindi lo scopo di chi scrive o parla è chiaro

§  l’accettabilità, vale a dire il grado di adeguatezza riconosciuto al testo da chi ascolta o legge

§  l’informatività, vale a dire il grado di novità, in termini di informazioni veicolate, che il testo trasmette

§  l’intertestualità, il rimando ad altri testi

Per inciso, c’è da riconoscere che principi pragmatici possono spesso sopperire al mancato soddisfacimento dei principi costitutivi.

-       in seconda battuta, l’A. presenta i principi regolativi, i quali, anziché presiede alla composizione del testo, pertengono all’uso, e sono:     

o   l’efficienza, proporzionale all’accessibilità (la trasparenza dei contenuti) e alla rapidità di confezione del testo

o   l’efficacia, decodificabile in termini di memorabilità riconosciuta dal ricevente e quindi di significatività (a conferma quindi del raggiungimento dello scopo prefisso da parte dell’emittente)

o   l’appropriatezza, vale a dire l’operare scelte (lessicali, sintattiche, ecc.) adatte al contesto comunicativo 

 

L’autore accenna infine agli atti linguistici, distinguendoli in costativi (volti a descrivere) e performativi (che implicano un’azione nel momento stesso di essere pronunciati; es. condannare, giurare, promettere). In realtà lo stesso A. precisa che un grado di performatività è presente in tutti gli atti linguistici.  

Differenzia poi l’atto locutorio (che coincide con il contenuto proposizionale) dall’atto illocutorio (che rappresenta gli impliciti), dall’atto perlocutorio (che coincide con l’azione determinata dall’atto illocutorio). Procede con la descrizione delle implicature, colmature di gap del discorso procurate da violazione di una o più massime conversazionali, così come definite da Grice (quantità, ovvero essenzialità; qualità, ovvero verità; modo, ovvero chiarezza; relazione, ovvero pertinenza). Chiude con un accenno alla deissi, ovvero ai numerosissimi riferimenti (anaforici e cataforici) che concorrono alla coesione del testo. 

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