Novembre 2005  Supplemento alla rivista EL.LE - ISSN: 2280-6792
Direttore Responsabile: Paolo E. Balboni
Intercultura a scuola: la comunicazione di Elisa Bello

ABSTRACT

Questo saggio vuole riportare un’esperienza svoltasi in una scuola primaria italiana nella quale è presente un’alta percentuale di bambini provenienti da altre lingue e altre culture. È una situazione sempre più comune nella scuola italiana, nella quale nel 2004 erano presenti 282.683 studenti stranieri (dati MIUR, 2004), numero che è cresciuto e che cresce in modo costante nel corso degli anni. In Italia gli studenti stranieri vengono inseriti in una classe corrispondente alla loro età e alla loro scolarità pregressa nel paese di origine, indipendentemente dalle loro competenze in lingua italiana; nella stessa classe è quindi sempre più diffusa la presenza di allievi italiani e italofoni insieme a compagni non italofoni con competenze in italiano anche molto diversificate: dal neo-arrivato che non conosce neppure una parola in italiano, allo studente che è stato inserito nella scuola italiana fin dalla scuola dell’infanzia e quindi nel corso degli anni ha sviluppato una buona, se non ottima, competenza in L2. Un’ulteriore caratteristica della popolazione straniera presente nella scuola italiana è l’estrema diversificazione delle lingue e delle nazionalità di origine: sempre secondo i dati MIUR, nella scuola italiana sono presenti 191 nazionalità diverse, a fronte di 194 nazioni presenti nel mondo.

Questa serie di condizioni peculiari mettono i docenti italiani di fronte alla necessità di trovare percorsi, attività, modalità di lavoro che possano coinvolgere tutti gli studenti, sia italofoni sia non italofoni, al fine di rafforzare le abilità linguistiche e comunicative di tutti e di favorire l’incontro e il confronto tra lingue diverse e esperienze culturali diverse.

 

1. LA COMUNICAZIONE IN UN CONTESTO DI CLASSE PLURILINGUE E MULTICULTURALE

Quando parliamo con qualcuno, senza accorgercene, mettiamo in atto un processo che va dall’interno della nostra mente all’esterno mediante i suoni prodotti dal nostro apparato di fonazione.

Durante tale processo, eseguiamo in modo automatico tre operazioni:

  • troviamo un contenuto e cerchiamo di chiarirlo a noi stessi;

  • troviamo l’espressione capace di comunicarlo;

  • effettuiamo un controllo per verificare se tale espressione comunica in modo adeguato il contenuto.

Il locutore attribuisce il codice “lingua italiana” (se si tratta di un italiano) al proprio contenuto di pensiero (codificazione).

Chi ascolta segue invece il percorso inverso, dall’esterno all’interno: attraverso il suo apparato uditivo cattura l’espressione, la analizza e le assegna un contenuto, che dovrebbe coincidere con quello del locutore.

L’ascoltatore passa dall’espressione data in codice al contenuto di pensiero (decodificazione).

Ovviamente si può codificare in una lingua e decodificare da una lingua che si conosce.

Da una riflessione su questo concetto di linguistica moderna ma non solo, data anche la presenza in classe terza di due bambine bengalesi che frequentano abbastanza regolarmente la scuola italiana dalla classe prima, è nata l’idea di svolgere un’attività di intercultura all’interno di uno degli obiettivi principali di programmazione di lingua italiana di classe terza della scuola primaria: la comunicazione orale, ed in modo particolare le sei funzioni della comunicazione verbale, il confronto con i linguaggi non verbali, la produzione di messaggi diversificati attraverso l’uso di opportuni codici e registri.

Spesso accade infatti che i docenti si preoccupino di fronte all’inserimento di nuovi alunni stranieri che non conoscono la lingua italiana, in quanto ritengono di non possedere strumenti, mezzi, capacità, e soprattutto tempi adeguati affinché questi bambini possano imparare serenamente ad esprimersi anche attraverso una nuova lingua, a volte molto diversa dalla loro.

In realtà è possibile realizzare delle semplici attività didattiche di intercultura che abbiano lo scopo di integrare gli alunni stranieri nelle nostre classi, avvicinando noi italiani alla loro lingua e alla loro cultura e che soprattutto sviluppino obiettivi già insiti nelle programmazioni curriculari di ciascun docente, evitando in questo modo di aggiungerne di ulteriori.

Da anni insegno in un Circolo caratterizzato da un forte processo immigratorio e supportato per questo da finanziamenti, mediatori e facilitatori linguistici; posso affermare che i bambini stranieri che frequentano le nostre scuole imparano a parlare la lingua italiana sottoforma di gioco attraverso la comunicazione orale con i compagni. Sono infatti i rapporti interpersonali tra coetanei a fungere da stimolo affinché il bambino straniero prenda coraggio e cominci ad usare un codice linguistico diverso dal proprio, in modo da giocare con i compagni o partecipare ad attività di gruppo, e farsi anche capire dagli insegnanti nelle richieste di prima necessità.

 

2. IL PROGETTO: LO SCENARIO DI APPRENDIMENTO

Target: scuola Primaria. Classe III, N° alunni 22

Focus: intercultura e comunicazione

Aree disciplinari: italiano

Tempi di svolgimento: due ore alla settimana per un mese.

Modalità di lavoro: breve brainstorming sulla comunicazione attraverso conversazioni nel gruppo classe coordinate dall’insegnante; comunicazione a due a due e dialoghi ad alta voce mentre gli altri ascoltano (drammatizzazione di scenette inventate dai bambini), lettura e scrittura di parole straniere, riflessioni anche nel piccolo gruppo. Intervista ai compagni della scuola: la classe viene divisa in due gruppi e ad ogni membro del gruppo viene assegnato un compito.

Finalità:

  • consapevolezza dell’esistenza di codici linguistici diversi da quello italiano;

  • accettazione dell’altro, diverso da sè per cultura d’origine e lingua;

  • integrazione dei bambini stranieri nella classe.

Obiettivi:

  • conoscere le sei funzioni della comunicazione verbale

  • saper comunicare attraverso codici verbali e non verbali

  • capire la differenza tra comunicazione circolare e non

  • capire che le parole sono una convenzione

  • capire che esistono codici linguistici diversi

  • giocare con i codici linguistici

 

3. L’ESPERIENZA IN CLASSE

Durante una conversazione in classe e attraverso la drammatizzazione di spontanei dialoghi inventati al momento dagli alunni e poi riprodotti con il disegno a fumetti nel loro quaderno, la comunicazione è stata definita:

uno scambio intenzionale di messaggi tra un emittente (colui che trasmette) ed un destinatario (colui che riceve); (Fig. 1).

 

Fig. 1: La comunicazione come scambio intenzionale di messaggi tra un emittente ed un destinatario

 

Per compiere tale operazione sono necessari un codice, comune sia all’emittente sia al destinatario, ed un canale, che i bambini hanno definito come il mezzo di trasmissione del messaggio. Una comunicazione può essere o non essere circolare (fig. 2 e fig. 3).

 

Fig. 2: Esempio di comunicazione multimediale ma non circolare

 

Fig. 3: Esempio di comunicazione multimediale e circolare

 

Nel dialogare con le due bambine bengalesi è parso ancora più evidente che gli interlocutori, per capirsi, debbano usare lo stesso codice, ovvero conoscere la stessa lingua; se le bambine bengalesi comunicassero con noi usando la loro lingua madre, noi italiani non potremmo capire e quindi la comunicazione non funzionerebbe, non sarebbe di tipo circolare (fig. 4).

 

Fig. 4: Comunicazione non circolare

 

I dialoghi con le bambine bengalesi ha indotto i bambini ad ulteriori riflessioni:

la parola non è l’unico mezzo a disposizione dell’uomo per comunicare; la mimica, la gestualità ci possono aiutare qualora la comunicazione verbale non dovesse funzionare.

Del resto quando parliamo accompagniamo spesso le parole con l’atteggiamento del viso e con i gesti, generalmente riconosciuti da tutti. Il volto è la parte più espressiva del corpo, il volto cambia a seconda di ciò che pensiamo e dei sentimenti che proviamo, indipendentemente dalla nazionalità a cui le persone appartengono.

I bambini stranieri, soprattutto nei primi mesi di inserimento a scuola, ascoltano e per mezzo di segnali non verbali, anche senza usare le parole, comunicano le loro emozioni e le loro intenzioni. Poi, tutto d’un tratto, dopo aver assimilato un numero sufficiente di vocaboli che identificano un certo oggetto, un luogo o una persona, iniziano a parlare nella nostra lingua.

Le parole sono infatti una convenzione, cioè un accordo fra gruppi di uomini che parlano la stessa lingua: in questo modo, quando uno dice una parola tutti gli altri sanno a cosa si riferisce.

Dunque, tutti gli uomini si esprimono con le parole, tante parole formano una lingua, tante parole italiane formano la lingua italiana, ogni popolo parla una lingua diversa dagli altri.

Siamo così andati alla ricerca dei possibili modi in cui si possono tradurre alcune parole italiane nelle diverse lingue madre straniere dei bambini che frequentano la nostra scuola.

Divisi in gruppi, gli alunni, ognuno con un proprio compito, sono entrati in tutte le aule della scuola a chiedere se ci sono bambini stranieri, quanti sono e da quale Paese provengono.

Dopodiché a questi bambini è stato consegnato un foglio con scritte le seguenti parole italiane: CANE, LATTE, PANE, CASA, SCUOLA da tradurre nella lingua del Paese di provenienza.

Una volta in aula sono state raccolte tutte le traduzioni e costruita la seguente tabella (fig. 5).

Fig. 5: Alcune parole tradotte nelle L1 degli allievi

 

Analizzando la tabella si è scoperto che:

  • il numero di bambini stranieri è elevato;

  • ci sono bambini di nazionalità diverse;

  • non tutti ricordano quelle parole nella loro lingua madre;

  • bambini di medesima nazionalità riportano in forma scritta il termine ma in modo diverso.

Per i bambini della classe, provare a leggere e a scrivere in una lingua diversa dalla loro è stata un’esperienza sicuramente arricchente.

Quando hanno aperto i fogli su cui avevano chiesto ai compagni stranieri di scrivere le parole, hanno cercato di leggerle, trovando non poche difficoltà. I loro commenti sono stati:

Ma queste non sono lettere dell’alfabeto come il nostro, sono dei disegni, dei simboli”;

Queste lettere sono simili alle nostre, ma combinate tra loro in modo diverso, non significano più nulla per noi e non le capiamo”;

Ma come si pronuncia? Non si può leggere un disegno”.

Il copiare dalla lavagna i termini trascritti è stato un gioco divertente che ha richiesto loro concentrazione e abilità grafiche, soprattutto per il cinese, il giapponese ed il bengalese.

Per le bambine bengalesi l’attività è stata molto gratificante: coinvolte nella comunicazione orale nella loro lingua, rese partecipi con lo scrivere determinate parole in bengalese, interpellate nelle trascrizioni dei simboli, consultate per la pronuncia dei vocaboli, hanno acquisito più sicurezza e manifestato maggior interesse ed entusiasmo. Si sono sentite protagoniste e al centro dell’attenzione, ma soprattutto hanno avuto l’opportunità di dimostrarsi, per una volta, più capaci dei compagni che, per ovvi motivi linguistici, sono facilitati durante il resto delle attività scolastiche.

Lo stupore che ha accompagnato i bambini in questo percorso di conoscenza, li ha condotti a comprendere più da vicino le difficoltà che vivono i bambini stranieri quando arrivano in un nuovo Paese in cui si parla una lingua diversa dalla loro.

Tutti insieme, bambini italiani e non, a conclusione dell’attività hanno percepito con chiarezza che possiamo imparare reciprocamente dagli altri: i bambini stranieri inseriti nella scuola italiana sono un’opportunità di arricchimento culturale per tutti i bambini italiani e viceversa.

 

RIFERIMENTI SITOGRAFICI

 

PROGETTO ALIAS < www.unive.it/progettoalias >

 

CENTRO COME < www.centrocome.it>

 

SOCRATES ME-TOO < www.socrates-me-too.org >

 

VIVOSCUOLA < www.vivoscuola.it/intercultura

 

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