Novembre 2008  Supplemento alla rivista EL.LE - ISSN: 2280-6792
Direttore Responsabile: Paolo E. Balboni
La didattica individualizzata per gli alunni stranieri: modelli e strumenti di Raffaella Valgimigli

ABSTRACT

I più recenti documenti di programmazione indicano nell’individualizzazione dell’insegnamento la modalità per realizzare l’integrazione degli alunni stranieri nella scuola. L’esame della normativa ci mostra come nella scuola italiana convivano due modelli di individualizzazione per cui non è sempre facile per gli insegnanti progettare percorsi educativi per gli alunni stranieri. Questi modelli sono l’individualizzazione vera e propria, che prevede il raggiungimento di standard minimi comuni, e la personalizzazione, che propone un adattamento degli obiettivi di apprendimento ai bisogni specifici dell’apprendente: la scelta del nostro paese di non rinunciare a obiettivi standard nazionali si accompagna alla possibilità di utilizzare, per gli alunni stranieri che non sono in grado di raggiungerli, correttivi in sede di valutazione.

Per quanto riguarda gli strumenti per l’individualizzazione la normativa lascia ampia libertà decisionale e attuativa alle scuole. Tra gli strumenti che si possono utilizzare troviamo: il POF, il Protocollo di Accoglienza degli alunni stranieri, il Piano Educativo Individualizzato/Personalizzato, l’Unità di Apprendimento/Didattica, il Portfolio, il Certificato di competenze, il Tutor.

 

1. IL MODELLO ITALIANO PER L’INTEGRAZIONE

Il diritto d’accesso a scuola dei minori stranieri è tutelato dalla legge sull’immigrazione n. 40 del 6 marzo 1998 e dal D.Lgs. del 25 luglio 1998 “Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero” in cui, nell’Art. 38 (Istruzione degli stranieri. Educazione interculturale), si legge:

 

1. I minori stranieri presenti sul territorio sono soggetti all’obbligo scolastico; ad essi si applicano tutte le disposizioni vigenti in materia di diritto all’istruzione, di accesso ai servizi educativi, di partecipazione alla vita della comunità scolastica.
2. L’effettività del diritto allo studio è garantita dallo Stato, dalle Regioni e dagli enti locali anche mediante l’attivazione di appositi corsi e iniziative per l’apprendimento della lingua italiana.
3. La comunità scolastica accoglie le differenze linguistiche e culturali come valore da porre a fondamento del rispetto reciproco, dello scambio tra le culture e della tolleranza; a tal fine promuove e favorisce iniziative volte all’accoglienza, alla tutela della cultura e della lingua d’origine, e alla realizzazione di attività interculturali comuni.

 

Secondo il DPR 394/99, art. 45, comma 2 e 3, inoltre:

 

I minori stranieri soggetti all’obbligo scolastico vengono iscritti alla classe corrispondente all’età anagrafica, salvo che il Collegio dei Docenti deliberi l’iscrizione a una classe diversa, tenendo conto:

  1. dell’ordinamento degli studi del Paese di provenienza dell’alunno, che può determinare l’iscrizione ad una classe immediatamente inferiore o superiore rispetto a quella corrispondente all’età anagrafica;
  2. dell’accertamento di competenze, abilità e livelli di preparazione dell’alunno;
  3. del corso di studi eventualmente seguito dall’alunno nel Paese di provenienza;
  4. del titolo di studio eventualmente posseduto dall’alunno.”

 

Il Collegio del Docenti formula proposte per la ripartizione degli alunni stranieri nelle classi: la ripartizione è effettuata evitando comunque la costituzione di classi in cui risulti predominante la presenza di alunni stranieri.”

 

Come evidenziato dalla normativa e ribadito nei documenti di programmazione ministeriali Linee guida per l’accoglienza e l’integrazione degli alunni stranieri (2006) e La via italiana per la scuola interculturale e l’integrazione degli alunni stranieri (2007) il modello educativo scelto dall’Italia è di tipo inclusivo e di valorizzazione delle differenze: nel nostro paese non esistono “classi speciali” di nessun tipo e tutti gli studenti, compresi gli stranieri, vengono inseriti direttamente nelle classi insieme ai coetanei, promuovendo in questo modo “ (…) la piena integrazione di tutti nella scuola e l’integrazione culturale come orizzonte culturale.” Tale modello non solo considera “le diversità” un elemento fondamentale dal punto di vista educativo quale base per lo scambio culturale e la convivenza civile, ma pone l’accento anche sulle potenzialità formative delle diversità come fonti di costruzione e incremento delle conoscenze. Il gruppo classe socialmente e culturalmente eterogeneo, proprio della scuola pubblica italiana, le esperienze di integrazione degli alunni “diversamente abili” avvenute a partire dagli anni settanta, rappresentano alcune delle declinazioni pratiche del modello, da cui attingere per affrontare la sfida che si presenta alla scuola oggi: progettare e realizzare l’accoglienza e l’inserimento degli alunni stranieri.

 

2. LA DIDATTICA INDIVIDUALIZZATA COME DIDATTICA DELL’INTEGRAZIONE

Parallelamente al processo di democratizzazione della scuola si è sviluppato in Italia il tema della flessibilità dell’insegnamento. E’ considerato fondamentale in questo senso il passaggio dal concetto di “programma” a quello di “programmazione”, sancito per la scuola media nei programmi del 1979, grazie ai quali, fatti salvi determinati obiettivi complessivi, il docente ha la possibilità di progettare la sua azione didattica tenendo conto del contesto reale. Per rispondere ai bisogni di alunni con un retroterra culturale e sociale differenziato vengono proposte metodologie quali l’insegnamento individualizzato, il lavoro di gruppo, le classi aperte, la metodologia della ricerca come sostitutiva della lezione frontale.

Nonostante siano passati quasi trent’anni le istanze di individualizzazione dell’insegnamento non si sono affatto esaurite. Infatti, l’Atto di indirizzo del Ministero della Pubblica Istruzione per l’anno 2008, esorta a realizzare

 

strategie educative e didattiche che tengano conto della singolarità di ogni persona, della sua articolata identità, delle sue capacità e delle sue fragilità, nelle varie fasi di sviluppo e di formazione, ponendo lo studente al centro dell’azione educativa in tutti i suoi aspetti cognitivi, affettivi, corporei, etici e spirituali”;

 

inoltre, nelle Indicazioni per il curricolo per la scuola dell’infanzia e per il primo ciclo di istruzione (2007: 16) si legge:

 

Le trasmissioni standardizzate e normative delle conoscenze, che comunicano contenuti invariati pensati per individui medi, non sono più adeguate. Al contrario la scuola è chiamata a realizzare percorsi formativi sempre più rispondenti alle inclinazioni personali degli studenti, nella prospettiva di valorizzare gli aspetti peculiari della personalità di ognuno.”

 

Per quanto riguarda gli studenti stranieri il DPR 394/99 art. 45 comma 4 fa esplicitamente riferimento alla possibilità di individualizzazione dei percorsi; in esso infatti si legge:

 

Il Collegio dei Docenti definisce, in relazione al livello di competenza dei singoli alunni stranieri, il necessario adattamento dei programmi di insegnamento, allo scopo possono essere adottati specifici interventi individualizzati o per gruppi di alunni, per facilitare l’apprendimento della lingua italiana, utilizzando, ove possibile, le risorse professionali della scuola. Il consolidamento della conoscenza e della pratica della lingua italiana può essere realizzata altresì mediante l’attivazione di corsi intensivi di lingua italiana sulla base di specifici progetti, anche nell’ambito delle attività aggiuntive di insegnamento per l’arricchimento dell’offerta formativa.”

 

Nel documento La via italiana per la scuola interculturale e l’integrazione degli alunni stranieri (2007: 12) viene inoltre illustrato il processo attraverso il quale arrivare alla programmazione individualizzata:

 

Vengono rilevati durante i primi giorni dell’inserimento i bisogni linguistici e di apprendimento, in generale, e anche le competenze e i saperi già acquisiti e, sulla base di questi dati, si elabora un piano di lavoro individualizzato.”

 

Per quanto riguarda l’aspetto della valutazione, coerentemente con le sollecitazioni a una programmazione individualizzata, le Linee guida per l’accoglienza e l’integrazione degli alunni stranieri (2006: 22) esortano a privilegiare la dimensione “formativa” rispetto a quella “certificativa” e a prendere in considerazione

 

il percorso dell’alunno, i passi realizzati, gli obiettivi possibili, la motivazione e l’impegno e, soprattutto, le potenzialità di apprendimento dimostrate.”

 

Tale necessità viene ribadita nella nota n. 5695 del 31 maggio 2007 che ha come oggetto ulteriori specificazione sulla Circolare Ministeriale n. 28 del 15 marzo 2007 sull’Esame di Stato conclusivo del primo ciclo di istruzione, confermata per l’anno scolastico 2007/08 dalla C.M. 32 del 14 marzo 2008. In esse, benché non siano previste prove differenziate per gli alunni stranieri:

 

Si conferma l’opportunità che le sottocommissioni esaminatrici adottino particolari misure di valutazione, soprattutto in sede di colloquio pluridisciplinare, nei confronti di quegli alunni con cittadinanza non italiana di recente scolarizzazione che non hanno potuto conseguire le competenze linguistiche attese. In tali circostanze è opportuno procedere prioritariamente all’accertamento del livello complessivo di maturazione posseduto prima ancora di valutare i livelli di padronanza strumentale conseguiti.”

 

Pur nella inderogabilità della effettuazione di tutte le prove scritte e del colloquio pluridisciplinare previsti per l’esame di Stato, le sottocommissioni vorranno considerare la particolare situazione di tali alunni e procedere a una opportuna valutazione dei livelli di apprendimento conseguiti, in particolare nella lingua italiana, delle potenzialità formative e della complessiva maturazione raggiunta.”

 

3. QUALE INDIVIDUALIZZAZIONE PER GLI ALUNNI STRANIERI?

Attualmente nella scuola italiana convivono e spesso si confondono due modelli che si ispirano a sfumature differenti del concetto di individualizzazione: l’individualizzazione vera e propria e la personalizzazione. Per Baldacci (2006: 11) l’individualizzazione “si riferisce alle strategie didattiche che mirano ad assicurare a tutti gli studenti il raggiungimento delle competenze fondamentali del curricolo, attraverso una diversificazione dei percorsi di insegnamento”. La personalizzazione “indica invece le strategie didattiche finalizzate a garantire ad ogni studente una propria forma di eccellenza cognitiva attraverso possibilità elettive di coltivare le proprie potenzialità intellettive”. L’individualizzazione, praticata ad esempio dal Mastery Learning, e a cui si ispirano gli obiettivi di apprendimento e i traguardi per lo sviluppo delle competenze presenti nelle Indicazioni per il curricolo, la prova nazionale prevista per il 2008 nell’esame di Stato a conclusione del primo ciclo di istruzione, il sistema dei debiti e i corsi di recupero della scuola media superiore, si basa quindi sull’assunto ideale, difficilmente riscontrabile in una classe plurilingue ad abilità differenziate, che tutti, con i dovuti accorgimenti, possano raggiungere obiettivi uguali; la personalizzazione prevede invece un adattamento degli obiettivi e dei contenuti calibrato sulle effettive capacità o esigenze individuali, siano esse eccellenze o deficit.

Per identificare il modello di individualizzazione più idoneo a favorire l’integrazione degli alunni stranieri credo sia importante partire dai loro particolari bisogni e dagli obiettivi che si intendono raggiungere. Le Linee guida per l’accoglienza e l’integrazione degli alunni stranieri (2007: 17), riprendendo la distinzione di Cummings tra BICS (Basic Interpersonal Communication Skills) e CALP (Cognitive Academic Language Proficiency), identificano come priorità l’acquisizione della lingua italiana nei due aspetti di lingua per comunicare e lingua dello studio. La competenza linguistica viene considerata un prerequisito indispensabile sia per l’inclusione sociale sia per il successo scolastico, concetto complesso quest’ultimo, che però non può prescindere dall’acquisizione di conoscenze e competenze afferenti alle varie discipline, soprattutto ai livelli più alti di scolarità.

Per quanto riguarda la competenza linguistica, gli studi di glottodidattica hanno messo in luce come siano in media necessari dai 6 mesi ai 2 anni di esposizione alla lingua per apprendere l’italiano della comunicazione (BICS) e fino a 5/7 anni di studio ed esposizione alla lingua della scuola per raggiungere il livello di uno studente italiano nella lingua per lo studio (CALP). E’ quindi evidente che, per una parte consistente del percorso scolastico obbligatorio, un alunno straniero si troverà svantaggiato rispetto ai coetanei italiani per motivi linguistici, con rischi di abbandono, demotivazione e percorsi di istruzione al di sotto delle effettive capacità come sta accadendo attualmente.

Il concetto di individualizzazione intesa come diversificazione delle strategie didattiche per raggiungere obiettivi standard minimi fa parte dei principi che hanno guidato il processo di democratizzazione della scuola, ma non appare adeguato per le classi ad abilità differenziate, perché gli obiettivi standard non corrispondono ai bisogni educativi di tutti gli alunni come, ad esempio, gli stranieri. Il raggiungimento di standard minimi, infatti, soprattutto ai livelli più alti di istruzione, richiede comunque prerequisiti come la padronanza linguistica, che non tutti gli studenti della scuola italiana hanno, anche se solo in via transitoria, e rende necessaria di conseguenza l’introduzione di “correttivi” in sede di valutazione, rinunciando nei fatti a riconoscere le competenze raggiunte e a valorizzare il percorso formativo effettivamente svolto. Il concetto di personalizzazione appare invece in grado di eliminare la connotazione negativa legata al concetto di differenza, unendo in maniera più diretta il binomio obiettivo/apprendente, slegandolo da quello di standard minimo, che risulta riduttivo per coloro in grado di superarlo e privo di senso per coloro che non hanno la possibilità di raggiungerlo o per i quali non è significativo. La personalizzazione, inoltre, prevedendo percorsi didattici diversificati per raggiungere obiettivi personali, può garantire, anche ai ragazzi stranieri appena arrivati, l’esercizio, fin dal primo momento, delle competenze personali, ad esempio attraverso la possibilità di frequentare, per un maggior numero di ore, lezioni in cui vengono valorizzati mezzi espressivi alternativi alla lingua italiana, come disegno, musica, lingue straniere, educazione motoria, con ricadute positive sul proprio senso di autoefficacia e motivazione.

Occorre però un grande esercizio di responsabilità da parte dei docenti, infatti adottare la personalizzazione può portare, come denuncia Vertecchi (2003), a rinunciare troppo facilmente a raggiungere e superare lo standard minimo anche dove questo sarebbe possibile e soprattutto significativo per il percorso educativo e formativo del singolo studente.

 

4. GLI STRUMENTI PER UNA DIDATTICA INDIVIDUALIZZATA.

Nelle Indicazioni per il curricolo per la scuola dell’infanzia e per il primo ciclo di istruzione, nonostante venga evidenziata la necessità di realizzare forme di individualizzazione dell’insegnamento, non compaiono riferimenti ad alcun strumento di attuazione. Cercando però tra le esperienze scolastiche di integrazione più recenti e significative si può far riferimento all’inserimento degli allievi disabili, regolato attualmente dalla legge 104/92, che può essere considerato fondamentale dal punto di vista della sperimentazione di metodologie e strumenti legati all’individualizzazione dell’insegnamento. Si pensi ad esempio all’unicità nel panorama degli ordinamenti scolastici più avanzati della figura dell’insegnante di sostegno o all’obbligatorietà di progettare e realizzare un Piano Educativo Individualizzato con il contesto classe come punto di riferimento. La rielaborazione di questa esperienza all’interno di un modello scolastico che mira a estendere il concetto di individualizzazione a tutti gli studenti ha portato a individuare alcuni strumenti - il Piano di Studio Personalizzato, l’Unità di Apprendimento, il Portfolio delle Competenze Individuali, il Tutor - presenti nella Legge n.53/2003 e nelle Indicazioni Nazionali per i Piani di Studio Individualizzati che però non hanno superato una prima fase di sperimentazione in larga scala e non sono attualmente obbligatori, ma il loro utilizzo è demandato all’autonomia delle singole istituzioni scolastiche1.

E’ possibile utilizzare questi strumenti ai fini dell’integrazione degli studenti stranieri e con quali modalità? Esistono altri strumenti già in uso all’interno della scuola che possano essere adattati per far si che rispondano anche ai bisogni educativi di questa nuova tipologia di utenza? Gli strumenti a disposizione sono molteplici e coinvolgono i diversi livelli dell’organizzazione scolastica e diverse fasi del processo educativo.

Il Piano dell’Offerta Formativa comunemente chiamato POF è il documento che sintetizza la progettualità educativa propria di ogni istituzione scolastica: esso presenta, oltre agli obiettivi generali, le opportunità formative in termini di discipline, attività, progetti, obbligatori o opzionali, disponibili per gli studenti. E’ possibile prevedere per gli stranieri percorsi di accoglienza, laboratori di italiano L2, moduli di recupero disciplinare, progetti di intercultura ecc… Nelle realtà più avanzate tutte le iniziative che riguardano gli alunni stranieri vengono progettate e gestite da una Commissione Accoglienza, emanazione del Collegio dei Docenti, e sintetizzate in un Protocollo di Accoglienza per gli alunni stranieri2 che descrive in maniera analitica le procedure che l’istituto mette in atto dai momenti dell’informazione e dell’iscrizione degli alunni stranieri al momento dell’uscita. Esso di norma contiene: le finalità del protocollo stesso, la composizione e le funzioni della Commissione Accoglienza, le procedure di iscrizione, di assegnazione alla classe, di accoglienza nella classe e di valutazione, specificando tempi di attuazione e responsabilità operative.

A volte però una ricca progettualità a livello di offerta formativa non si accompagna ad un’analoga capacità di creare identità o almeno un coordinamento tra le iniziative legate ai bisogni educativi creati dalla presenza degli alunni stranieri e le attività didattiche ordinarie, e di operare un monitoraggio continuo e complessivo della ricaduta di esse sui singoli studenti per cogliere in itinere i cambiamenti in termini di progresso e necessità educative. A tal fine potrebbe essere utile cambiare punto di vista focalizzandosi sull’individuo e non più solamente sull’istituzione: non limitarsi cioè a formalizzare l’offerta formativa della scuola, o le procedure messe in atto per l’accoglienza degli alunni stranieri, cose delle quali non viene messa in discussione l’importanza, ma cominciare a formalizzare e documentare i percorsi educativi dei singoli alunni all’interno dell’offerta disponibile attraverso la stesura di Piani Educativi Personalizzati.

Il Piano Educativo Personalizzato/Individualizzato3, che si ispira al documento previsto dalla Legge 104/92 per gli alunni disabili, costituisce il documento di programmazione preventiva riferito all’alunno straniero: esso descrive e formalizza gli interventi predisposti per l’alunno in un determinato periodo di tempo, costituito generalmente dall’anno scolastico, per la realizzazione del diritto all’educazione e all’istruzione. Può ricalcare, esplicitandone le fasi, il processo messo in atto dall’insegnante in maniera spesso automatica e globale rispetto all’alunno e alla classe per arrivare alla programmazione; è finalizzato cioè ad indagare e documentare attraverso una procedura analitica: chi è l’alunno, che cosa sa e sa fare, come lo fa, cosa può realisticamente imparare, come lo può imparare, come valutare gli apprendimenti. Esso può essere suddiviso in tre sezioni principali: il profilo dell’alunno, la programmazione comune e disciplinare, la valutazione.

La descrizione del profilo dell’allievo merita un’attenzione particolare in quanto costituisce la base sulla quale costruire il progetto educativo personale. Lo studente straniero in ingresso nella scuola italiana corre infatti il rischio di vedersi negata la sua “identità plurale”4 o comunque di vederne ridotta la complessità a causa dell’adozione di stereotipi spesso inconsapevoli che possono condizionarne anche le modalità di osservazione e di rilevazione delle competenze. Se fino ad ora si è focalizzata l’attenzione soprattutto sul problema lingua e sulla diversità culturale creando strumenti per rilevare e conoscere i dati biografici, il profilo culturale generale, le competenze in ingresso, adeguati a fronteggiare una fase di emergenza dell’accoglienza, occorre ora ripensare questi strumenti all’interno del concetto di “speciale normalità” proposto da Ianes prendendo atto del fatto che la presenza degli alunni stranieri in classe è un fenomeno strutturale e permanente. E’ quindi fondamentale che la descrizione dell’alunno straniero sia completa, non riguardi esclusivamente le tematiche relative alla sfera culturale, ma comprenda anche gli aspetti affettivo/relazionali e cognitivi che stanno alla base del processo di apprendimento e che potrebbero, nei casi peggiori, provocarne l’inibizione.

Occorre pertanto evitare che il Piano Educativo sia un documento che rispecchia solamente il punto di vista dell’istituzione scolastica formalizzando “ciò che manca per essere uguale a un buon studente italiano”, ma piuttosto che sia capace di descrivere in termini positivi la complessità, le potenzialità dello studente e i modi con cui gli insegnanti possono svilupparli. Pensiamo ad esempio a come sia possibile e altamente motivante valorizzare il plurilinguismo all’interno delle attività di classe e di istituto mettendo in atto un sistema per il riconoscimento dei crediti oltre che dei debiti.

L’Unità di Apprendimento o Unità Didattica è un altro strumento di programmazione che può essere utilizzato ai fini dell’individualizzazione dell’insegnamento in classi plurilingue e plurilivello. Nell’accezione in cui compare nelle Indicazioni Nazionali per i Piani di Studio Individualizzati essa può essere individuale e/o di gruppi di livello, di compito o elettivi; viene inoltre specificato che può essere costituita da “obiettivi formativi adatti e significativi per i singoli allievi, definiti anche con i relativi standard di apprendimento”, da svilupparsi “mediante appositi percorsi di metodo e di contenuto”. Si fa strada quindi l’idea che le UdA/UD non solo possano variare da alunno ad alunno, ma anche che quelle comuni non debbano essere necessariamente standard per tutta la classe, ma possano contenere differenziazioni all’interno della propria articolazione, cioè negli obiettivi, nei contenuti e nei metodi. Tale concetto generale viene ripreso nell’Unità Stratificata e Differenziata proposta da D’Annunzio e Della Puppa (2006). Gli alunni stranieri a scuola sono infatti per gran parte del tempo sottoposti a stimoli non pensati appositamente per loro, ma per gli italofoni che costituiscono la maggior parte della classe: la sfida per l’insegnante consiste quindi nel far processare a più livelli lo stimolo proposto attraverso la progettazione di attività stratificate e differenziate.

Per quanto riguarda la valutazione, il Portfolio, inteso come raccolta di elaborati, osservazioni, registrazioni e riflessioni che documenta il percorso educativo e di apprendimento dei singoli allievi può costituire uno strumento valido per realizzare una valutazione di progresso che mira cioè non tanto a verificare il raggiungimento di standard prestabiliti, ma lo sviluppo del processo di apprendimento. Si presta ad esempio a monitorare gli stadi dell’interlingua nell’acquisizione dell’italiano L2 permettendo di identificare i momenti in cui è opportuno introdurre concetti nuovi.

Il D.lgs. n. 59/2004 e il D.P.R. n. 275/1999 prevedono, al termine del primo ciclo di istruzione, contestualmente al diploma, il rilascio da parte delle scuole di un Certificato di competenze. Ciò è coerente con la progressiva sostituzione nei documenti di programmazione degli ultimi anni del concetto di conoscenza con quello di competenza, che ha permesso di prendere definitivamente le distanze dai vecchi programmi intesi come liste di contenuti. Nel caso soprattutto degli allievi stranieri, portare alla luce le competenze individuali, rimuovendo gli ostacoli linguistici che possono contribuire a mascherarle, fa parte del processo di riconoscimento dell’identità plurale e dell’accoglienza nel senso pieno del termine. Il passaggio dal concetto di conoscenza a quello di competenza potrebbe aiutare questo riconoscimento: mentre l’acquisizione e l’accertamento delle conoscenze dichiarative è influenzato in larga misura dalla competenza linguistica in L2 e/o in lingua-madre, il saper fare è maggiormente legato all’azione e alla soluzione dei problemi. Considerando infine che non sempre l’acquisizione delle competenze in lingua 2 necessarie a garantire il successo scolastico si conclude con il termine di un ciclo di istruzione, la certificazione delle competenze può costituire il documento per realizzare quella continuità necessaria all’azione didattica che altrimenti non sarebbe affatto garantita nel momento del passaggio al ciclo di studi successivo. La sperimentazione condotta nell’anno scolastico 2006/07 ha prodotto diversi modelli a partire da alcune linee guida generali anche se attualmente non esiste ancora una versione ufficiale a cui attenersi.

Per finire, la figura del Tutor, può essere realizzata con più modalità e diverse funzioni: un tutor adulto, preferibilmente interno al Consiglio della Classe in cui è inserito l’alunno straniero, eventualmente affiancato all’inizio da un mediatore culturale, può essere posto a presidio delle aree della progettazione didattica, della relazionalità e della comunicazione. Esso può avere un ruolo di collegamento in modo che le strategie didattiche differenziate si svolgano all’interno di un piano unitario il cui scopo è costituito dal successo formativo dell’alunno; porsi come facilitatore di relazioni positive, rendendo meno problematico l’inserimento e l’appartenenza al gruppo classe; assicurare il passaggio delle informazioni fra tutti i partecipanti ai processi educativi e di apprendimento. Si può inoltre pensare a una tutorship tra pari, affidata a un coetaneo italiano o straniero, o condivisa all’interno della classe, per favorire le relazioni amicali e i processi di apprendimento attraverso il modelling su soggetti positivi.

 

5. CONCLUSIONI

Gli insegnanti si sentono impreparati e privi di strumenti per affrontare l’ingresso sempre più massiccio degli alunni stranieri nella scuola italiana. In realtà questo fenomeno non può essere considerato del tutto nuovo anche se presenta elementi specifici, ma può essere ricondotto ai principi e alle esperienze già presenti a livello pedagogico e didattico che si sono sviluppati parallelamente al processo di democratizzazione della scuola. Occorre in questo momento, passata la fase di emergenza, mettere tra parentesi la categoria “alunno straniero” e concentrarsi piuttosto sull’identificazione dei bisogni educativi e formativi reali di tutti gli alunni. Questo richiede di considerare la complessità e l’unicità degli individui attraverso una osservazione attenta e continuata delle dimensioni fondamentali della persona connesse con l’azione didattica. Con il modificarsi della popolazione scolastica non occorre quindi creare nuove categorie interpretative, ma piuttosto affinare gli strumenti didattici a disposizione per cogliere aspetti della realtà che fino a poco tempo prima non erano significativi e poter intervenire su di essi. Solo in questo modo, come anche auspicato nel Seminario Nazionale sulle Indicazioni per il Curricolo nella Scuola Interculturale (Senigallia 27/28 marzo 2008) l’alunno straniero può essere vissuto non come un problema da risolvere attraverso uno sforzo aggiuntivo, ma come occasione per ripensare e rinnovare l’azione didattica a beneficio di tutti.

 

 

 

BIBLIOGRAFIA

 

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1 A tal proposito Cattaneo (2007) scrive “Ciò che non è vietato dalla norma vigente si può fare e quindi ciascun Collegio dei Docenti, sulla base dell’autonomia, può deliberare di continuare con i Piani di Studio Personalizzati e con le Unità di Apprendimento, anche per garantire una certa continuità educativa e didattica.”

2 Sul sito dell’Ufficio Scolastico Regionale dell’Emilia Romagna http://www.multiculturer.it, si possono trovare indicazioni per la stesura del Protocollo di Accoglienza per gli alunni stranieri ed esempi elaborati dalle scuole dell’Emilia Romagna.

3 La variante Piano di Studi Personalizzato presente nelle Indicazioni Nazionali era inteso non tanto come documento di programmazione preventiva quanto come raccolta delle Unità di Apprendimento effettivamente realizzate per ogni alunno. Non esiste comunque alcun modello ufficiale di questo documento e neppure linee guida per la sua compilazione.

4 Canevaro (1999).

 

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