Febbraio 2010  Supplemento alla rivista EL.LE - ISSN: 2280-6792
Direttore Responsabile: Paolo E. Balboni
Microlingue e bias. La cultura degli affari “dell’altro” in un corso di italiano economico LS di Alessandra Genovesi-Bogicevic

ABSTRACT

La globalizzazione può essere definita come nuova forma di modernizzazione e acculturazione che modifica quasi tutti i sottoinsiemi della società mondiale, dando origine ad uno spazio economico, politico, sociale e culturale, unico. E’ il cosiddetto “mercato globale”, da intendersi in senso etimologico come “piazza”, crocevia, luogo di incontro (e scontro) di individui e culture.

L’insegnamento delle (micro)lingue straniere, oltre a rispondere ai nuovi e complessi bisogni comunicativi del villaggio globale, può costituire un’occasione di confronto e riflessione che, a partire dalla cultura “dell’altro” conduca alla consapevolezza della propria e quindi a posizioni di relativismo culturale, creando condizioni favorevoli alla diffusione di una cultura del dialogo, della tolleranza e della pace. La responsabilità del successo di tale percorso formativo ricade sull’insegnante, agevolatore, mediatore, “catalizzatore” del processo stesso, che dovrà tenere in considerazione le rappresentazioni culturali degli apprendenti (e le proprie), cercare di prevenire il bias1 culturale e di trasformare il conflitto latente in occasione di arricchimento per tutti i protagonisti del processo didattico.

 

1. GLOBALIZZAZIONE, IDENTITÀ E NUOVI BISOGNI LINGUISTICI

 

La globalizzazione può essere definita come nuova forma di modernizzazione e acculturazione che modifica quasi tutti i sottoinsiemi della società mondiale, dando origine ad uno spazio economico, politico, sociale e culturale, unico” (Mitrović, 2002: 28; ripreso da Pavlović, 2005: 209-210)2.

Le trasformazioni sociali indotte dalla globalizzazione agiscono, del resto, anche a livello individuale, condizionando in modo significativo la formazione dell’identità del soggetto. Le identità non appaiono (più) monolitiche, certe, stabili nello spazio e nel tempo, ma ibride, fluttuanti, nomadi, soggette agli adattamenti imposti – non senza tentativi di resistenza – dalle nuove logiche dell’economia globalizzata, o, per controreazione, (re)inventate su base etnica o locale, tribalizzate, spesso asservite agli interessi privati di potenti mafiocrazie o demagogicamente strumentalizzate da neodestre (o da svariati altri movimenti) in cerca di consenso. L’identità ( e la sua pretesa difesa) diviene così un vessillo sbandierabile ad ogni occasione e da chiunque, buono per ogni (ab)uso. Ma come sottolinea Nikola Božilović: “l’identità culturale non si difende con l’autoisolamento. Al contrario, si esprime, rafforza e mette alla prova proprio attraverso i contatti con le altre culture. (…) La questione è, ovviamente, tutt’altro che semplice, poiché l’incontro con le altre culture viene generalmente mediato da stereotipi e rappresentazioni di cui dobbiamo essere consapevoli se intendiamo affrontare in modo critico ed adeguato l’incontro con una determinata cultura” (Božilović, 2007: 119.)3.

L’insegnamento delle (micro)lingue straniere, oltre a rispondere ai nuovi e complessi bisogni comunicativi del villaggio globale, può costituire un’occasione di confronto e riflessione che, a partire dalla cultura “dell’altro” conduca alla consapevolezza della propria e quindi a posizioni di relativismo culturale, creando condizioni favorevoli alla diffusione di una cultura del dialogo, della tolleranza e della pace.

L’aspetto utilitaristico della questione non va peraltro trascurato: la corretta gestione delle differenze culturali rappresenta, infatti, un vantaggio competitivo non trascurabile nell’economia dell’interdipedendenza, tant’è che negli ultimi anni gli studi di cross-cultural communication e cross-cultural management vanno acquisendo sempre maggior rilievo.4

I nuovi bisogni comunicativi della società globale presentano una marcata componente culturale, che si tratti di localizzare software, conquistare mercati esteri, integrarsi in un paese ospite, negoziare con partners stranieri o gestire un’azienda mista. Nello stesso tempo, la domanda di lingue straniere appare sempre più differenziata e specializzata in senso settoriale, a seconda dei bisogni (attuali o futuri) degli apprendenti. Dell’aumento della domanda di italiano generale e microlinguistico nelle aree di maggior delocalizzazione industriale all’estero, si è detto in un precedente lavoro cui si rimanda (Genovesi-Bogićević, 2008) Oggetto di questo breve contributo è, invece, la prevenzione del bias culturale nell’insegnamento microlinguistico, di cui si illustreranno alcuni esempi rilevati durante i corsi universitari di italiano economico tenuti da chi scrive tra il 2006 e il 2009 in Serbia5, non senza aver prima discusso brevemente di alcuni aspetti interculturali dell’insegnamento (micro)linguistico.

 

2. ASPETTI INTERCULTURALI DELL’INSEGNAMENTO/APPRENDIMENTO (MICRO)LINGUISTICO

 

Gli elementi culturali nei corsi di lingue straniere non hanno una funzione ancillare o “decorativa”. Come scrive Pavan (2005: 86) “Insegnare una lingua significa insegnare a comunicare in una lingua straniera cioè6 saper interagire con successo all’interno della cultura oggetto (…) I contenuti culturali vanno “tarati” (…) con l’obiettivo che gli studenti entrino in contatto e conoscano, ma che anche sviluppino una visione critica nei confronti dei modelli presentati”

In tutti e tre i modelli proposti da Balboni (2005: 67) per spiegare la motivazione all’acquisizione di una LS, gli aspetti culturali ricoprono un ruolo fondamentale, dal modello egodinamico di Titone (1973), a quello di Schumann (1999) e di Balboni (2002) che potremmo riasssumere così: lo studente, attraverso il contatto con la cultura dell’altro, sviluppa la cultural awareness della propria cultura; gli aspetti culturali, inoltre, contribuiscono a fare crescere la motivazione, il piacere di imparare, mettendo in gioco fattori di natura emozionale e spostando l’attenzione dal piano della forma linguistica a quello dei contenuti. La consapevolezza dei fattori culturali, non solo rende possibile la comunicazione, ma rende gli interlocutori consapevoli dell’identità propria e altrui, contribuendo al passaggio da posizioni etnocentriche al relativismo culturale. Come viene ricordato nel Quadro Comune Europeo (Zajednički Evropski Okvir, 2003: 9) “in un approccio interculturale, l’ obiettivo fondamentale dell’insegnamento delle lingue straniere consiste nella promozione dello sviluppo armonico della personalità e dell’identità dell’apprendente, come risposta alle conseguenze negative che potrebbero derivare dall’ incontro con culture e lingue diverse 7.

Conseguenze negative possono infatti derivare da una non corretta gestione dello “shock culturale” che il soggetto apprendente si trova ad affrontare nel momento in cui entra in contatto con una cultura diversa dalla propria. É chiaro che in un contesto di apprendimento non naturale (LS), lo shock è minimo rispetto ad un contesto naturale (L2), ma non per questo trascurabile.

In assenza di un’adeguata contestualizzazione da parte dell’insegnante, che dovrebbe guidare, agevolare il processo di acculturazione, l’apprendente sarà portato ad analizzare la cultura di arrivo sulla base delle categorie mentali della propria cultura, ricorrendo a “scorciatoie cognitive” come gli stereotipi e i pregiudizi. Se il prodotto finale di tale processo sarà una rappresentazione negativa della cultura “altra”, la motivazione all’apprendimento della LS diminuirà drasticamente. Sarà cura dell’insegnante guidare - non forzare - l’apprendente a relativizzare la validità di entrambi modelli culturali in gioco, in modo da trasformare il conflitto latente in occasione di arricchimento per tutti i protagonisti del processo didattico.

Nonostante l’apparente obiettività delle microlingue8 scientifico-professionali, le conoscenze culturali giocano un ruolo importante nella comprensione dei testi specialistici. É infatti l’insieme delle conoscenze di sfondo e di genere, la cosiddetta “enciclopedia” di un popolo che determina l’interpretazione degli eventi (linguistici) sia che si tratti di messaggi veicolati dalla L1 che dalla LS/L2 . É la conoscenza del mondo, frutto del processo di inculturazione, a fornire il “software mentale”, cioè le griglie interpretative e le strategie cognitive tramite cui, nell’interazione quotidiana, esprimiamo e realizziamo noi stessi come agenti sociali, interpretando vari ruoli, fra cui, quelli professionali.

L’inculturazione professionale avviene:

 

  1. all’interno di istituzioni preposte all’istruzione formale (scuole, università)

  2. all’interno dei gruppi in cui il soggetto espleta la propria attività lavorativa (organizzazioni in senso lato)

  3. all’interno del gruppo dei pari (colleghi di lavoro, studio).

 

Il codice linguistico che veicola gli scambi di informazione e che “tramanda” la cultura professionale è la microlingua del settore. Fondamenti epistemologici, contenuti disciplinari, istruzioni pratiche, convenzioni, ruoli sociali, gerarchie, ecc. costituiscono le basi culturali dell’identità professionale di una determinata categoria sociale. Così come lingua e cultura rappresentano un binomio inscindibile, non è pensabile un corso di microlingua che non prenda in esame gli aspetti culturali del settore professionale considerato.

Secondo Balboni (2000: 72-3) le mete educative del curricolo di ML sono:

 

  • culturizzazione nell’universo della ricerca scientifica o della professione;

  • socializzazione nella discourse community, che si riconosce, tra l’altro, per l’uso della microlingua;

  • autopromozione (come tecnico, studioso, professionista).

Le mete glottodidattiche del curriculo comprendono, invece, competenza comunicativa (“saper fare ML”, “saper fare con la ML”, “sapere la ML”) e mete glottomatetiche (imparare ad imparare la ML), sviluppare le capacità di apprendimento autonomo, in prospettiva long-life learning, per consentire al (futuro) professionista di aggiornarsi continuamente facendo anche ricorso alla letteratura specialistica in LS. Oltre ai bisogni della ML e degli apprendenti, vanno presi in considerazione anche i bisogni del docente di microlingua, che non può e non deve essere un esperto della disciplina, ma, al massimo, “un buon dilettante” (Balboni, 2000: 15).

Per quanto riguarda gli aspetti culturali, ancora più importanti nel caso del docente/lettore all’estero, oltre ad una conoscenza dell’ambiente ospite, delle rappresentazioni culturali degli apprendenti (di sé, come dell’altro), il docente di microlingua dovrà conoscere anche le rappresentazioni e i valori dominanti nel mondo professionale-disciplinare la cui microlingua si trova ad insegnare. Nel nostro caso, un docente italiano di microlingua economica in Serbia, dovrà tenere conto della cultura degli affari e delle organizzazioni, dei valori e delle ideologie dominanti nel Paese, degli atteggiamenti e delle rappresentazioni degli apprendenti nei confronti della cultura (degli affari) italiana/occidentale ecc9. Per quanto concerne le divergenze di natura sociopragmatica e i possibili ostacoli alla comunicazione interculturale, si rimanda a Balboni 1998, 1999). Di seguito, presenteremo, invece, esempi di bias culturale riscontrati10 nell’insegnamento della microlingua economica ed alcune proposte operative.

 

3. PREVENIRE/CURARE IL BIAS NELL’INSEGNAMENTO/APPRENDIMENTO DELL’ITALIANO ECONOMICO.

 

La presenza di elementi di “cultura e civilità italiana” nei libri di testo destinati ad apprendenti LS/L2 è, ormai da anni, consolidata. Le modalità di presentazione degli elementi culturali varia da testo a testo: essi possono essere inclusi nell’unità didattica o approfonditi in apposite appendici, spesso tralasciate dagli insegnanti per mancanza di tempo. Nel caso del libro di testo da noi adottato, Italiano per economisti11, gli elementi culturali non sono presentati in quanto tali, ma dovrebbero12 essere esplicitati, in fase di riflessione, in attività tipo “In Italia….e nel tuo paese ?” In generale, gli elementi di “cultura e civiltà” trovano poco spazio o vengono dati per scontati.13 Il testo si è tuttavia rivelato adatto, più di altri, alla tipologia e durata del corso14; si è tentato, quindi, di colmare le lacune riscontrate15, con approfondimenti esterni e sussidi multimediali, di cui si dirà in seguito.16

I problemi cominciano, ahimè, già col testo pivot della prima unità di acquisizione17 dal titolo “Imprese e Società”, cioè col “Manifesto di un’azienda Zen”, nella forma di un elenco di 18 affermazioni di cui solo 15 apparterrebbero al testo originale18 e 3 sarebbero spurie. All’insegnante l’arduo compito di presentare il testo spiegando che cosa si intenda per “Filosofia Zen” e che rapporto ci sia fra essa e l’azienda. Segue la lettura del testo, attività di verifica della comprensione e attività di produzione scritta “Come giudichi questo Manifesto Zen ? Scrivi almeno 3 aggettivi che lo definiscono”

Le risposte tradiscono un fraintendimento di tipo culturale, nonostante la perfetta comprensione linguistica: gli studenti si esprimono in modo assolutamente negativo, scegliendo espressioni come: “utopico”, “irrealizzabile”, “non applicabile in Serbia”, “impossibile”, “improduttivo”, “non redditizio”, “stupido”. Che cosa è successo ? In assenza di informazioni e griglie interpretative corrette, gli studenti hanno giudicato il contenuto in base alle proprie rappresentazioni culturali, ai propri concetti di “impresa” e di “cultura aziendale”, giungendo ad una rappresentazione negativa della cultura (aziendale) dell’altro. Detto altrimenti, si è verificato un bias culturale. Una volta formatasi, la rappresentazione negativa è difficile da estirpare, anzi, la proiezione del filmato del primo meeting dei Manager Zen19, con una presentazione del concetto di managerialità “Zen”, non fa che rafforzare l’impressione negativa, arrivando perfino alla constatazione, da parte di uno studente: “ Sembra una setta….”.

La lezione introduttiva al corso, che avrebbe dovuto anche attivare la motivazione, si è conclusa con la formazione di un’immagine negativa dell’altro, le cui lingua e cultura sono oggetto dell’apprendimento.

 

 

 

Fig. 1 – Attivazione ed effetti del bias culturale

 

 

 

Fig. 2 - Il testo introduttivo dell’UA “Imprese e Società” ; Incalcaterra-McLoughlin et, al., 2003: 10

 

Allo scopo di rinforzare il lessico introdotto, e di cercare di dissipare le perplessità degli apprendenti e l’atmosfera non positiva, viene proposto un nuovo video, l’intervista ad un imprenditore italiano (non dichiaratamente “Zen”) che ha applicato i principi dell’etica negli affari e della responsabilità sociale d’impresa, aumentando del 20% lo stipendio dei propri dipendenti per adeguarlo all’aumentato costo della vita. Le obiezioni degli studenti rimangono: “lo scopo dell’impresa è il profitto, e perciò le spese vanno ridotte al minimo. Il rispetto delle persone, dell’ambiente è una cosa bella, ma non produce profitto”; “oltretutto quando vanno all’estero, non pagano certo gli operai locali in modo equo, questa è ipocrisia”. L’Azienda Zen rappresenta, all’interno della cultura d’affari italiana, l’eccezione, non la regola. Ma questo lo studente straniero all’estero non lo sa, sul testo non ci sono riferimenti quantitativi sulla reale diffusione di questa corrente di pensiero, dunque, dovrebbe essere l’insegnante a chiarificare.

La nostra UA prosegue introducendo la definizione giuridica di Azienda, secondo il Codice Civile italiano.

 

Fig. 3 - La definizione di “Azienda” secondo il Codice Civile Italiano; Incalcaterra-McLoughlin et, al., 2003: 12

 

Tale definizione, data dall’art. 2555, non contiene alcun riferimento al profitto come fine dell’impresa ! In realtà, la definizione di impresa va ricavata dall’art. 2082, che definisce la figura giurica di imprenditore: “È imprenditore chi esercita professionalmente una attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi.” L’aggettivo “economica” qualifica in modo inequivocabile l’attività d’impresa. Ci si chiede perché non sia stata inserita (anche) questa definizione… A questo punto, l’insegnante presenta la definizione di “impresa” citata dal manuale di Diritto Aziendale in programma secondo il piano di studi della Facoltà, e quella contenuta nella Legge sulle imprese del 200420, sottolineando il riferimento ai limiti di natura etica imposti all’attività d’impresa. Gli studenti concordano nell’affermare che le definizioni e dunque i concetti di impresa e imprenditorialità dei due paesi sono sostanzialmente equivalenti.

 

4. CONCLUSIONI

 

Abbiamo riportato, a titolo esemplificativo, solo un paio dei numerosi casi di bias culturale rilevati nell’attività didattica quotidiana. Qualunque sia l’approccio didattico adottato, riteniamo, per le ragioni esposte, che il docente di microlingua debba tenere in considerazione, tra gli aspetti culturali, anche le rappresentazioni proprie e degli allievi della cultura target, come di quella di partenza. Adottando la prospettiva del relativismo culturale, dovrà cercare di creare un clima sereno ed equilibrato, in cui le due culture in gioco vengano sentite come paritarie da tutti i protagonisti del processo didattico. L’insegnamento/apprendimento delle microlingue scientifico-professionali può significativamente contribuire, sul piano individuale, alla formazione dell’identità professionale del discente. Sul piano sociale, l’apprendimento delle lingue e delle culture straniere può costituire un formidabile fattore di aggregazione in un’ Europa economicamente unita, ma culturalmente ancora divisa, facile preda di egoismi nazionalistici vecchi e nuovi. Come scrive Mauro Giacomozzi in un romanzo di recente pubblicazione: ”L’europeismo sarà il punto d’arrivo per tutti coloro che, umilmente, realisticamente, umanisticamente si renderanno conto che nessun popolo ha le proprie radici in sé stesso”.21

I docenti di lingue straniere possono svolgere, nel cammino dell’integrazione europea degli stati membri e di quelli che lo diverranno, un importante ruolo di mediazione culturale tra i popoli dell’Unione. É necessario esserne consapevoli e lavorare in questa direzione, a tutti i livelli formativi, prestando la dovuta attenzione alle divergenze culturali fra le lingue di partenza ed arrivo, al fine di prevenire bias culturali che, come si è visto, possono intralciare e rallentare il processo di acculturazione.

 

 

 

 

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1 Il termine bias indica una tendenza o preferenza nei confronti di una determinata prospettiva, ideologia o di un certo risultato, soprattutto quando la suddetta tendenza interferisce con la capacità di giudicare in modo imparziale ed obiettivo. Il participio biased descrive un’azione, un giudizio o un risultato influenzato da una prospettiva di tipo pregiudiziale; può anche riferirsi ad una persona o ad un gruppo di persone le cui azioni o i cui giudizi appaiano influenzati da bias. In questo senso, il termine biased ha una netta connotazione peggiorativa. Bias culturale: interpretare e giudicare un fenomeno in base alle proprie rappresentazioni culturali. In http://en.wikipedia.org/wiki/Bias: “Bias is a term used to describe a tendency or preference towards a particular perspective, ideology or result, especially when the tendency interferes with the ability to be impartial, unprejudiced, or objective. The term “biased” is used to describe an action, judgment, or other outcome influenced by a prejudged perspective. It is also used to refer to a person or body of people whose actions or judgments exhibit bias. In this context, the term "biased" is often used as a pejorative (…) Cultural bias.: interpreting and judging phenomena in terms particular to one's own culture”.

 

2 Nostra traduzione.

3 Nostra traduzione.

4 Cfr.: Garzone et al., 2000; Balboni 1998: 27-33.

5 presso la Facoltà di “Scienze Bancarie e Commercio” dell’ Università “Braća Karić”, a Niš.

6 Nostro corsivo

7 Nostra traduzione. Nella versione italiana, Cap. 1, pag. 2

8 Per la definizione di “microlingua” e la scelta del termine rispetto ad altri convenzionalmente in uso in ambiente internazionale si veda: Balboni, 2000

9 Sulla diffusione di atteggiamenti di tipo orientalistico/occidentalistico fra gli studenti medi ed universitari in Serbia vedi Maleševic, 2003; su europeismo vs euroscetticismo nel sud della Serbia, Bozilovic, 2007. Per un’analisi, secondo il modello di Hofstede, degli stili manageriali in Serbia, vedi Mojić, 2003 . Per gli stereotipi sull’Italia e gli Italiani, Vučo, 2007. Sul “balcanismo”, Todorova, 1999.

10 I casi descritti si sono verificati sistematicamente durante ognuno dei tre corsi di microlingua tenuti da scrive tra il 2006 e il 2009. Dopo i primi due anni, si è deciso di intervenire attuando una ristrutturazione preventiva dell’ unità in questione, di cui si dirà nel paragrafo successivo.

11 Incalcaterra-McLoughlin et. al., 2003

12 Non è detto che il docente straniero sia sempre in grado di riconoscere, esplicitare e chiarire i suddetti elementi.

13 La presenza di vignette e barzellette non appare una scelta didatticamente felice. Le battute risultano spesso incomprensibili o prive di effetti umoristici.

14 Corso della durata di 30 ore destinato a studenti del quarto anno con livello iniziale A2-B1

15 Le riflessioni sul libro di testo si riferiscono esclusivamente all’ esperienza didattica di chi scrive e non sono pertanto generalizzabili.

16 Secondo una celebre espressione di Clifford Prator “l’insegnante di qualità adatta, non adotta i materiali”, cit. in Balboni, 2000: 105

17 D’ora in poi, UA. Seguiamo Balboni, 2000: 84, secondo cui “nel momento in cui l’allievo viene posto al centro del processo, l’unità didattica della tradizione, centrata, come indica il nome sull’attività del docente, del didatta, che programma il suo insegnamento, diventa dunque un’unità di acquisizione basata sullo studente che apprende e suoi suoi processi matetici”

18 Il testo originale del Manifesto si trova in: www.managerzen.it/mission/mission/manifesto_azienda_mz.html

19 Il filmato è visionabile su you tube all’indirizzo: http://it.youtube.com/watch?v=NuIUYvU6d3k

20 Gazzetta Ufficiale della Repubblica di Serbia n. 125/2004

21 Giacomozzi, Mauro. Valentina Muscaria. Mursia: Milano, 2008, 442.

 

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