Giugno 2005  Supplemento alla rivista EL.LE - ISSN: 2280-6792
Direttore Responsabile: Paolo E. Balboni
Carlo Tullio-Altan La nostra Italia. Clientelismo, trasformismo e ribellismo dall'Unità al 2000 di Roberta Barazza

AUTORE: Carlo Tullio-Altan
TITOLO: La nostra Italia. Clientelismo, trasformismo e ribellismo dall’Unità al 2000
CITTÀ: Milano
EDITORE: Egea
ANNO: 2000
PAGINE: 280

 

Il tema principale del libro è la carenza di senso civico propria degli italiani dovuta a ciò che Altan definisce la storica "arretratezza socioculturale" del Paese, con cui intende soprattutto il clientelismo, il trasformismo nella gestione del potere e il ribellismo anarchico di molti italiani. L’autore ripercorre i principali eventi storici dall’Unità ad oggi cercando in essi la causa dei fenomeni accennati.

Nel 1882 Pasquale Turriello parlava di una "ragione etnografica" e riconduceva la "riluttanza alla concordia e al cooperare" degli italiani alla "tradizionale asocialità" insita da sempre nell'indole di questo popolo. A quel tempo questi aspetti venivano spiegati in termini razziali o genetici. Spiegazioni ora ovviamente inaccettabili, ma Carlo Tullio-Altan vede alcuni aspetti del comportamento italiano come costanti della sua storia. Nel 1883 Paolo Villari scriveva che "in Italia e nel Mezzogiorno più che altrove c’è troppa individualità, troppo poca attitudine ad associarsi per un lavoro fatto in comune. Si sente troppo l’IO e troppo poco il NOI. Riusciamo assai bene in tutto quello che richiede iniziativa privata, energia individuale; assai peggio dove si richiede l’energia di molti per un fine non personale ma comune". Molte cose sono cambiate in Italia da allora ma queste caratteristiche sono ancora aspetti rilevanti specie, se confrontati con altri paesi europei.

Questo scarso senso del sociale viene spesso rimosso da studiosi e storici. Vi è un grande interesse e moltissimi studi sulla storia d’Italia ma non molti scritti su questi aspetti culturali che pur costituiscono un trait-d'-union tra varie epoche e vicende storiche. Se cerchiamo nella storia italiana le origini di queste caratteristiche, possiamo risalire alla fine del periodo comunale nel secolo XVI. In Italia non si forma una borghesia forte come nell'Europa del Nord, una borghesia libera e dirigenziale e in grado di contribuire fortemente allo sviluppo del paese. Manca in Italia un'autorevole classe dirigente e ciò dipende anche dall'inefficienza di una società cattolica che tende all'introspezione piuttosto che all'efficienza mondana. A ciò si aggiunga il ritardo dell'unità nazionale e la frammentazione della società italiana incapace di unirsi sotto un potere unitario anche a causa del potere temporale della Chiesa di Roma. In ciò il Cattolicesimo si rivela molto diverso dal Calvinismo di aree più settentrionali d’Europa. Secondo il pensiero calvinista il buon cristiano è colui che ha successo nella società. Ciò vuol dire che le strutture sociali devono funzionare al meglio perché i fedeli possano ottenere la salvezza. Il rapporto con Dio si concretizza nel mondo stesso. La "certitudo salutis", cioè la certezza della salvezza, viene confermata in ambiente calvinista solo attraverso la dimostrazione della propria capacità di realizzare nella vita sociale i comandamenti divini. Vita interiore privata e vita sociale si intrecciano strettamente. Il cattolico, al contrario, tende a condurre una vita asistematica, a vivere giorno per giorno, e a scindere tra sfera pubblica e dimensione privata. Lo stesso concetto di famiglia, che sembrerebbe esprimere la socialità degli italiani, in realtà assomiglia a volte più ad una difesa opportunistica dei propri interessi piuttosto che ad una solidale partecipazione alle vicende di chi ci è vicino, fino a diventare rifiuto di un impegno sociale più vasto. Leon Battista Alberti, vissuto a Firenze tra il 1404 e il 1472, cita nell'opera I libri della famiglia il termine "masserizia", cioè l'arte di organizzare la famiglia come un'azienda per cui i rapporti affettivi si intrecciano a interessi economici e mercantili. Le famiglie, secondo l’Alberti, non formano in realtà una "civitas", una società. Sono famiglie chiuse, esse stesse delle piccole società isolate (Leon Battista Alberti, 1972, I libri della famiglia, Einaudi, Torino). Per reggere la famiglia occorre "la roba" e gli amici, e contatti con utili autorità. La città e la politica interessano solo in quanto possono giovare agli interessi privati e familiari. La vita politica viene vista come fonte di problemi, sospetti e fatiche e interessa al massimo solo per poter rubare o strappare qualche licenza. La famiglia appare invece come un luogo positivo di scambio, non solo affettivo, anzi soprattutto pratico ed economico e di difesa di interessi personali. Mentre protestanti e calvinisti vedono nel buon funzionamento della società stessa e nel successo personale un segno della grazia divina e tendono a incoraggiare le libertà politiche e civili democratico-borghesi, la solidarietà collettiva e la mobilità sociale, la società italiana post-comunale si blocca in forme di chiusura e particolarismi, di rigidità di classe e di potere bloccando la dialettica democratica. Ne deriva un conformismo dettato dal desiderio di ricavare vantaggi dall'interazione sociale e di qui un'obbedienza alle leggi indipendentemente dal loro valore. Arlecchino, il gaglioffo bergamasco che gabba il padrone, ben rappresenta questa Italia serva dello straniero che si consola attraverso l'evasione in una realtà illusoria. È una sorta di fuga dalla libertà: si accettano obbedienza e servitù perchè queste possono portare vantaggi. Sembra che in questo stile di vita non vi sia una grande differenza tra classi egemoni e classi popolari. Tutte vantano una mentalità opportunista e asociale, mentre gli unici valori collettivi cui fanno riferimento sono quelli della famiglia intesa però come difesa di privilegi e interessi da difendere contro la società più vasta. Si parla infatti per questo di "familismo amorale". La famiglia viene apprezzata quale centro esclusivo di interessi e di valori. Leo Longanesi definisce l'Italia come non una vera e propria società, bensì come un insieme di famiglie. Non ci sono grandi studi sull'evolversi della coscienza sociale italiana nel corso dei secoli. Un'analisi di detti e proverbi popolari però aiuta a capire quali sono i pensieri più comuni e i temi più ricorrenti: "prima io e poi gli altri"; "maledetto l'uomo che si fida di altro uomo"; "il Signore si fece prima la sua barba e poi quella degli altri"; "quando va a fuoco la casa del tuo vicino, porta l'acqua a casa tua"; "ammazza chi ti fa del bene"; "non fare prestiti, non fare regali, non fare del bene che te ne verrà del male"; "il mio è mio e quello degli altri è comune"; "ognuno pensa al proprio guadagno e si gioca così al gabba-compagno" (Pitré G., 1981, Proverbi siciliani raccolti e confrontati con quelli degli altri dialetti d'Italia (1870-1913), Froni, Bologna).

Altri proverbi sottolineano il conformismo e la tendenza all'immobilismo: "accontentiamoci di questo se quello che viene non si sa com'è"; "se volete vivere contenti, guardatevi dietro e non davanti"; "bisogna sopportare lo stato presente per non avere il male futuro". Altri il servilismo e la subordinazione: "la pronta obbedienza è il seme di ogni virtù"; "al proprio signore e al re bisogna mantenersi fedeli"; "bisogna andare secondo il vento"; "abbassa la testa, giunco, che passi la bufera". La svalorizzazione dell'autonomia, l'obbedienza, il servilismo e il conformismo sono legati, come accennato, al fallimento della politica comunale del XVI secolo, al ristagno economico e alla dipendenza dallo straniero. Vi è però una notevole differenza tra il Nord in cui l'iniziativa privata non viene mai troppo soffocata, e il Sud la cui economia è basata soprattutto su attività non produttive. A sud la società è divisa in proprietari terrieri, contadini e una classe intermedia che ha il compito di garantire ai proprietari terrieri il lavoro dei salariati e la loro subordinazione. La mafia nasce legata a questa classe intermedia. L'iniziativa imprenditoriale è praticamente assente. Non vi sono investimenti e opere di modernizzazione. Prevale un'organizzazione di tipo improduttivo e parassitario che blocca inesorabilmente lo sviluppo economico. Mentre nel Nord la classe imprenditoriale mercantile finanzia progetti di lavoro anche nelle campagne, nel Sud l'attività commerciale è molto limitata e non coinvolge il settore agricolo immobilizzato invece nelle rendite parassitarie. Dopo l'Unità d'Italia la distanza tra Nord e Sud aumenta. Come dice Caracciolo, in questo squilibrio e nel ritardo molto forte di una delle due parti, nelle scelte economiche che ciò imponeva alla classe politica, in ciò risiede un' importante causa di disagio e distacco della società civile dalle istituzioni politiche.

I primi anni dopo l'Unità d'Italia sono governati dalla Destra liberale. Nel 1876 invece va al potere la Sinistra e questo può essere definito come il passaggio da un'élite moderata di alto livello civile, morale e culturale, ad una classe dirigente sostenuta da un consenso più ampio ma di più basso livello. La Sinistra univa agli aspetti più conservatori e retrivi della borghesia sia del Sud che del Nord gli aspetti più avanzati culturalmente e politicamente del Nord. Di qui un aspetto molto peculiare degli schieramenti politici italiani: non sono ben definibili come progressisti e conservatori. Una conseguenza importante dell'avvento della Sinistra al potere è l'affermarsi del clientelismo il cui punto cruciale sta nella concezione del potere come esercizio arbitrario a difesa di interessi personali. Ciò che lo Stato delegava alle autorità locali, specie nel Meridione, diviene potere arbitrario e violento e in questo passaggio lo Stato si allontana dalla società e appare come una forza che mina questa legge non scritta ma più "comoda" per i propri interessi personali. Di qui l'omertà e il rifiuto delle istituzioni legali. Ci si avvicina in ciò già alla struttura mafiosa. Specie al Sud, si formano dei rapporti di potere per cui un candidato si fa votare dall'elettorato promettendo in cambio "favori", cioè aiuti economici o personali. A loro volta i protetti si prestano a favorire gli interessi del "capofamiglia", sia in termini legali che con l'esercizio della violenza e dell'illegalità. Il clientelismo ha effetti negativi perché comporta un uso privato di risorse pubbliche e impedisce quella distinzione tra ruolo pubblico e privato che è alla base della istituzioni democratiche. Si ha invece una sorta di "privatizzazione dello Stato", che ha come conseguenza un allontanamento delle masse dalle istituzioni statali e la percezione dell'illegittimità morale della politica. Per sostenere il clientelismo la burocrazia aumentò insieme ad una finanza allegra e poco responsabile che portò al deficit del bilancio. Vi è inoltre un forte distacco tra eletti ed elettori: il voto si basa su interessi personali più che sulle idee politiche. Si arriva presto all'esercizio arbitrario della forza a difesa degli interessi personali. Il potere da autorità diventa arbitrio. Tutte le istituzioni (comunali, provinciali, magistratura) tendono, specie nel Sud, a diventare strumento di potere privato. E il potere arbitrario e violento arriva a sostituire quello legale dello Stato sulla base di un tacito accordo che si configura come il vincolo di una famiglia, per cui chiedere l'intervento della legalità appare un tradimento. Nel Nord prevale un'organizzazione simile, più che alla mafia, a consorterie di politici o affaristi che si uniscono per difendere interessi particolari, sorta di lobbies che sono un prodotto del capitalismo moderno.

Il trasformismo, come pratica di governo che favorisce interessi personali piuttosto che un progetto politico complessivo, è una delle costanti nella storia italiana e consiste nel cosiddetto "blocco sociale", una sorta cioè di coalizione tra le classi borghesi moderne del Nord e quelle oppresse del Sud contro la classe operaia che si vuole esclusa dal potere. Il terzo aspetto dell’arretratezza denunciata da Altan è il ribellismo anarchico legato alla struttura dualistica della società italiana, stretta tra classe borghese e intellettuale e classi contadine e operaie. Sia nel primo gruppo che nel secondo il disagio economico porta a forme di ribellismo anarchico. In realtà tale atteggiamento di protesta parte piuttosto dai gruppi intellettuali ed è evidente nella storia italiana che le classi più basse hanno sempre avuto un atteggiamento conservatore e una tendenza all'immobilismo. Sono piuttosto gli intellettuali che, pur provenendo dalla classe borghese ma senza averne ereditato la stabilità economica e il rigore produttivistico, fomentano le classi operaie e contadine, o meglio proiettano su di loro una sorta di mito rivoluzionario che ha poi in effetti come conseguenza atti di rivolta anarcoidi. Tale mito populista (accostabile alle teorie di Bakunin, giunto in Italia dalla Russia nel 1864) è condiviso da persone appartenenti al ceto medio-alto ma profondamente in contrasto con una società da cui si sentono schiacciati per motivi materiali e ideologici. Di qui un profondo senso di frustrazione e un'aggressività violenta e disperata. Tali aspetti, secondo Altan, sono ancora profondamente radicati nella società italiana. Questo atteggiamento era tipico di un'Italia arretrata ma nella quale era iniziato nell'Ottocento un processo di trasformazione sociale che trovava una forte resistenza, ma che ancora non si risolveva in un effettivo sviluppo dell'industria moderna, qualificata. I lavoratori non qualificati, gli operai dei vecchi mestieri, gli artigiani impoveriti e gli intellettuali senza impiego, erano disposti, nel loro profondo malcontento, a far proprie le idee anarchiche dell'astensione politica e dell'abolizione dello Stato mediante l'insurrezione. L'anarchismo è spesso legato a situazioni di arretratezza economica e culturale. E ciò è evidente in molti atti di ribellione in tutto l'Ottocento. Ed è confermato dal fatto che tali idee abbiano spazio soprattutto nell'Italia meridionale, area economicamente più disagiata. Il Meridione, infatti, fu la culla del sindacalismo rivoluzionario di derivazione anarchica (di cui Antonio Labriola, napoletano, è uno dei massimi esponenti) che tanta parte ebbe nel processo di formazione e poi di crisi del movimento socialista di ispirazione marxista in Italia. Mentre nel Nord ha origine e prevale la corrente riformista del socialismo che si esprime in una partecipazione alla vita politica nazionale e tende a coinvolgere le classi popolari, nel Sud prevale la linea antiriformista anarchica e massimalista, che in seguito sceglie la via dell'interventismo e del fascismo. Per quanto riguarda il rapporto tra fascismo e questa storica arretratezza, esso viene interpretato o come prosecuzione e conseguenza delle scelte del popolo italiano e degli eventi storici del paese, oppure, al contrario, come una sorta di incidente di percorso che rompe la continuità storica. Altan predilige la prima ipotesi che spiega la crisi del sistema politico, la mancata risoluzione di molti problemi sociali mentre le élite borghesi erano impegnate a "sognar lontano per non veder vicino" (Fortunato G., Il Mezzogiorno e lo Stato Italiano, Firenze, Vallecchi, 1973).

Il clientelismo, legato a questa arretratezza socioculturale, la politica assistenzialista che ne consegue come rimedio agli equilibri tradizionali, l'anarchia, il ribellismo, la semiparalisi di molte imprese quando queste vivono in un clima di violenza e ricatto mafioso, tutto ciò impone allo Stato un peso economico molto pesante. Il bilancio dello Stato serve a finanziare questi ambigui giochi di potere, e così il denaro non viene impiegato per lo sviluppo soffocando così la produttività. La situazione è simile a quella del Terzo Mondo in cui il denaro guadagnato serve solo a pagare i debiti e non può quindi essere usato per favorire lo sviluppo economico. Il sistema clientelare così strettamente intrecciato alle vicende politiche e economiche italiane è durato a lungo ma alla fine ha portato alla devitalizzazione delle strutture stesse su cui si regge. Esso è basato sostanzialmente sulla ricerca di voti politici in cambio di "favori", ma a lungo andare questo meccanismo perverso ha portato a così disastrose disorganizzazioni e inefficienze nella gestione delle cosa pubblica e anche nelle imprese private che alla fine ciò si è rivelato controproducente per la classe politica stessa portando alla paralisi gli stessi meccanismi della gestione clientelare. Una struttura politica assume carattere clientelare quando persegue la conquista del potere come fine in sé e non come forza da usare nell'interesse della collettività risolvendone i problemi fondamentali. La partitocrazia è il frutto di questo processo anomalo della democrazia italiana per cui i partiti tendono ad assumere il carattere di gruppo privati in spietata concorrenza tra loro per il perseguimento di interessi particolaristici. E' stato per questo coniato il termine di "cleptocrazia". E da ciò deriva tutta una serie di scandali a partire dagli anni '50: dal legame del sindaco Salvo Lima con la mafia allo scandalo dei servizi segreti del generale De Lorenzo, dallo scandalo Sindona a quello della Loggia P2 di Licio Gelli, da Roberto Calvi a Tangentopoli. Una grave conseguenza del sistema clientelare italiano sta nel fatto che tale logica implica la valorizzazione non dei soggetti professionalmente migliori quanto piuttosto di quelli maggiormente disposti a servire la maggioranza. Nel ’68 si diffonde il ribellismo anarchico già accennato. Esso non appare tanto come una protesta civile quanto piuttosto come una rivolta istintiva del singolo che insorge contro qualcosa o qualcuno ma senza una riflessione critica o una precisa scelta politica. È significativo che alcune opere letterarie vengano reinterpretate in questa chiave: in Cuore, che aveva proposto un'idea impegnata della vita, il culto del sacrificio e del lavoro per il benessere comune, vengono apprezzati ora gli eroi negativi quali il "cattivo" Franti, mentre la conclusione di Pinocchio, l'integrazione nella società e il ritorno in famiglia, viene vista come una sconfitta. L'individualismo e la difesa degli interessi personali vengono proposti come modello in contrapposizione all'ideale sociale e al perseguimento del bene comune. Così ribellismo anarchico e conservatorismo si fondono come nel Fascismo che in un primo tempo è protesta socialista e diventa poi autoritarismo e conservazione del potere. Per questo non è paradossale che il Fascismo appaia proseguire nel terrorismo degli anni '70. Sia il terrorismo nero che quello rosso appaiono impregnati di umori antistituzionali e nichilisti e questo conferisce ai loro atteggiamenti eversivi un fondamentale e comune carattere di irrazionalità. Lo Stato appare come il Male in sè e come per un giocattolo che non piace più se ne propone la distruzione con un atteggiamento infantile e irresponsabile; lo stesso con cui più recentemente nel Nord-Est ci si ribella a "Roma ladrona" senza però la capacità di gestire il territorio in modo serio e organizzato. Ma il terrorismo non è che uno degli aspetti della cultura nazionale e non ancora scomparso. E il ribellismo anarcoide non è che un lato della medaglia che ha come controparte l'immobilismo e l'arretratezza legata alla struttura clientelare del potere. E non è tanto un problema di ridistribuzione della ricchezza quanto di arretratezza in campo sociale e culturale.

Per concludere, citerei dei passi di Altan che sembrano di particolare attualità: “Ciò che in Italia deve essere evitato, sopra ogni altra cosa, è di fare di un partito una pura macchina di conquista del potere da parte di un gruppo di faziosi arrivisti”. “[Tale concezione dei partiti] si vede soprattutto nella frenetica lottizzazione del potere politico, economico, finanziario e dei mezzi di comunicazione di massa che caratterizza la nostra vita nazionale. Stiamo infatti assistendo ad una scena allucinante, che richiama alla mente quella di una barca che proceda nel filo di una corrente che si fa sempre più rapida, e si diriga verso una cascata di cui già si intravedono i vapori e se ne ode il rombo, mentre l'equipaggio litiga per strapparsi di mano i remi e le scotte delle vele, e soprattutto il timone; mostrando così di ignorare il pericolo incombente e celandolo agli altri occupanti della pericolante imbarcazione. Sta di fatto che certi partiti oggi si battono fra di loro soprattutto, se non esclusivamente, per conquistare sempre nuove posizioni di vantaggio, mettendo in secondo piano i problemi reali, urgenti, scottanti”.

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