Febbraio 2016  Supplemento alla rivista EL.LE - ISSN: 2280-6792
Direttore Responsabile: Paolo E. Balboni
A History of Psycholinguistics: The Pre-Chomskyan Era di Clelia Capua

 

AUTORE: Willem J. M. Levelt

TITOLO: A History Of Psycholinguistics: The Pre-Chomskyan Era

CITTÀ: Croydon

EDITORE: Oxford University Press  

ANNO: 2012

 

 

Willem Levelt è il fondatore del Max Planck Institute for Psycholinguistics di Nijmegen (NL). Da lui avviato nel 1980 il centro è l’unico istituto esistente interamente dedicato alla ricerca psicolinguistica e, ancora oggi, Pim Levelt ne è il suo Direttore Emerito. Il lavoro di Levelt è dunque legato all’enorme quantità di autorevole ricerca e sperimentazione da lui promossa al Max Planck Institute: linguaggio e cognizione, acquisizione linguistica, linguaggio e comprensione. Nel corso dei molti anni di impegno come ricercatore e professore Levelt ha osservato il graduale formarsi di un convincimento ormai diffuso per il quale la psicolinguistica sia una scienza giovane, neonata intorno agli anni ’50. Sebbene si sia assunto il Seminar of Psychology and Linguistics tenutosi nell’estate del 1951 alla Cornell University come il momento costitutivo della scienza come disciplina a sé stante, non va dimenticato che con quella data ci si sta riferendo della psicolinguistica moderna.

Levelt ha voluto, con questo libro, ricostruire e rileggere la storia della psicolinguistica prechomskyana, alla quale la disciplina moderna deve il suo status di scienza.

Sinteticamente, il libro parla della preistoria della psicolinguistica e propone un percorso storico non sempre scontato. Per svolgere la ricerca, Pim Levelt ha lavorato esclusivamente su fonti originarie, non sempre facilmente accessibili. risalendo così alle radici empiriche della disciplina, rintracciate fin ai primi del 1800. Le scoperte fatte nel corso delle ricerche e fra gli scaffali di biblioteche e libri spesso dimenticati, non sono state poche e il volume ne da dettagliato resoconto. Il confine oltre il quale Levelt decide di non indagare, quello oltre il quale non si è più nella Psycholinguistic BC, è segnato dalla pluricitata recensione al volume di Skinner “Verbal Behavior” (1957) redatta da Noam Chomsky "A Review of B. F. Skinner’s Verbal Behavior” (1959).

A History of Psycholinguistics ha una struttura storiografica suddivisa in cinque sezioni: il capitolo uno (Part1. Orientation) è dedicato a segnare l’avvio della disciplina moderna in quel convegno della Cornel University del 1951. La seconda parte del libro (Part 2. Establishing the discipline: 1770-1900) è composta da 5 capitoli (Cap. 2-6) nei quali si susseguono in cronologia, le figure dei pionieri della psicolinguistica: Tiedmann, Gall, Humboldt, Steinthal, fino ad arrivare al lavoro di Wundt, “Psychologie der Sprache”, del 1900. La terza parte del volume (Cap. 7-13 ) è centrata sulla revisione dello sviluppo, teorico ed empirico, della psicolinguistica nel corso del XX sec, fino a toccare la ‘cognitive revolution’. La quarta parte è racchiusa in un capitolo (Cap.14) interamente dedicato al tragico impatto del nazismo nell’ambito della psicolinguistica. Il libro si conclude con un ultimo capitolo (Cap.15) che riporta il lettore agli anni ’50 e alla rivoluzione chomskyana, senza però includerla nella trattazione.

Pim Levelt documentando la psicolinguistica pre-chomskyana, la Psycholinguistics BC, restaura ben 250 anni di storia della disciplina. Principalmente ciò che Levelt ha fatto è stato riportare a memoria teorie, concetti, eventi e scoperte del tutto accantonati che, se (1) fossimo stati attenti nel tramandare nella memoria della disciplina, avremmo oggi avuto anni di vantaggio nella ricerca. Nel volume si susseguono queste dimenticanze o equivoci interpretativi tramandati fino a noi per via, a volte, di edizioni e traduzioni inesatte. Un esempio di dimenticanza è legato allo psicologo James MacKeen Cattell (1860-1944) primo americano a ottenere il PhD in psicologia e precursore degli studi sui processi mentali. Cattell lavorò nel laboratorio di Wilhelm Wundt all’Università di Leipzig dal 1884 al 1887 per poi insegnare tutta la vita alla Columbia University (p.132) Si dedicò a indagare i processi mentali della lettura attraverso ciò che lui stesso chiamò ‘Test mentali’. Per farlo Cattell realizzò strumenti, da lui stesso progettati, capaci di registrare i decimi di secondo necessari a produrre il nome di un oggetto, o colore, o numero, o lettera, mostrati alla persona in esame. La teoria che ne derivò è che le lettere delle parole non sono percepite come “one after another, but rather in one mental process as whole group” e similmente “words are not read one after another, but as a whole group” (p.133). L’esteso ammontare dei dati raccolti in quel laboratorio è stato trascurato e sottostimato così, nel corso del tempo, i medesimi esperimenti e rilevamenti sono stati poi ripetuti, in parte, anche al Max Planck Institute. Di esempi come quello di Cattell il libro ne è pieno, facendo un lavoro di restauro storico che da solo merita la nostra lettura. Un altro esempio di dimenticanza è legato allo psicologo viennese Sigmund Exner (1846-1926) che anticipò, nei dettagli, una teoria del tutto contemporanea. Nel 1980 infatti William Marslen-Wilson, Professore Onorario in Language and Cognition all’Università di Cambridge, elaborò una teoria psicolinguistica e neurolinguistica legata al riconoscimento uditivo delle parole oggi conosciuta con il nome di Cohort model o Cohort theory. La teoria dimostra che al primo suono della parola il cervello attiva la memoria lessicale che si mette in funzione e seleziona le ipotesi possibili per l’individuazione del procedere della parola. Questa operazione non cessa fino a quando il cervello non ha individuato con certezza quale parola sta ascoltando, cioè non smette di selezionare le ipotesi possibili fino all’inevitabile risposta. Levelt trova nelle pagine di Sigmund Exner le seguenti annotazioni (Exner,1894 cit. in Levelt 2012:81):

 

When you for instance hear the sound K, with… very low intensity the traces are activated

which un many earlier cases were simultaneously active with the perception of K and

which correspond to the images of “Knabe” [boy], “Kuh” [cow], “Kirsche” [cherry],

“Kugel” [ball], “Kern” [Kernel], etc… This activation doesn’t disappear however with the

disappearance of the sound K, but continues…

 

In sintesi, Sigmund Exner anticipò la Cohort Theory di 86 anni, consapevolezza che lascia esclamare a Levelt “will we ever have an entirely new idea after the work of such pioneers?” (p.81). I due esempi di Cattell e Exner vanno annoverati fra le dimenticanze, cioè come un vuoto di memoria della disciplina, ma come menzionato, altri sono i casi di cattiva interpretazione, fraintendimento o, peggio ancora, discredito o persino diffamazione. La letteratura psicolinguistica sta oggi rileggendo le pagine di Benjamin Whorf (1897-1941) per cercare di separarle dalla sua collaborazione con Edward Sapir (1884-1939) suo mentore e insegnante e dai successori che ereditarono i suoi scritti. Anche Levelt lo fa attraverso la lettura dei testi originari e introduce il lettore alla reinterpretazione del relativismo linguistico ripercorrendo le strade che portarono alla 2edizione della Sapir-Whorf Hypotesis (SWH) “a label which led to much misunderstanding” (p.485). Levelt ricompone la vita umana e accademica di Benjamin, riuscendo a guidarci attraverso l’intricato percorso di distinzione dei contenuti e dei convincimenti fra Benjamin Whorf ed Edward Sapir. Nel fare questo percorso Pim Levelt sottolinea il peso accademico esercitato da Sapir su Benjamin Whorf in quanto suo professore e mentore che lo

condusse a diventare linguistica partendo dall’essere ingegnere. In queste pagine la narrazione biografica e la ricostruzione dei tratti umani dei due ricercatori è un esempio perfetto di come le biografie siano strumento di comprensione e analisi persino, come in questo caso, indispensabili. La ricostruzione storica delle idee e dei concetti di 250 anni di accadimenti non può essere distinta dalle vite degli uomini e donne che ne hanno preso parte; Levelt lo fa con calibrata misura per tutto il libro riuscendo in pieno a ristabilire la storia accademica di Benjamin Whorf senza mai separarla dalla sua vicenda umana.

Un’altra storia umana e professionale che aspettava di essere districata per correggere attribuzioni improprie è quella che ammanetta i lavori e la fama di Franz Joseph Gall (1758 - 1828) a quelli del suo aiutante Johann Caspar Spurzheim (1776 - 1832). Solo attraverso la ricostruzione dettagliata delle vite e la rilettura dei loro scritti Levelt riesce a distinguere e separare con chiarezza i risultati delle ricerche e ad attribuirne le appartenenze. Una sfida davvero complicata visto che Spurzheim divenne assistente di Gall e co-autore con lui dei suoi primi due volumi Anatomy and physiology of the nervous system (1810-1819) che fanno parte dell’opera omnia di Gall raccolta in quattro volumi, 1250 pagine, 100 incisioni. I due ricercatori vennero associati e Gall andò incontro al discredito; così Levelt (p.58)

 

Still, when you read the original nineteenth-century papers and treaties on language and the

brain, Gall is, as a rule, praised rather than ridiculed. He is praised for is superb brain

anatomy, for his localization approach to mental functions in the brain, for his efforts to relate

neural and functional architectures, and for his localization of the language faculty in the

interior brain.

 

Levelt cita anche le righe di Bunge che nel 1905 scrive una forte riabilitazione accademica del lavoro di Gall (Bunge,1905:248, cit. in Levelt 2012:58) “The main credit for discovering the speech center goes to Gall and not to Bouillaud or Dax or even Broca”.

Nelle 654 pagine del volume Levelt recupera 250 anni di storia estraendola da volumi dimenticati o tramandati impropriamente, da documenti mai letti o solo trascurati, da biografie alle quali non si è mai riconosciuto il valore di strumenti di ricerca e di interpretazione. Il libro consegna una storia alla disciplina e, così facendo, ne consolida finalmente la memoria.

 

 

 

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