Novembre 2008  Supplemento alla rivista EL.LE - ISSN: 2280-6792
Direttore Responsabile: Paolo E. Balboni
M. Sclavi, Arte di ascoltare e mondi possibili di Paolo Torresan

AUTORE: Marianella Sclavi
TITOLO: Arte di ascoltare e mondi possibili
CITTÀ: Milano
EDITORE: Bruno Mondadori
ANNO: 2003

 

È proprio difficile ascoltare?
Non sarà esagerato chiamarla arte?
In realtà per ascoltare attivamente occorre mettersi in ascolto del proprio modo di ascoltare: valutare le dissonanze, le distorsioni, il chiaroscuro delle “cornici di cui siamo parte”.

Arte di ascoltare e mondi possibili è un libro intenso, ricco, con la vivacità di un’opera che raccoglie anni di studi e riflessioni e poi viene scritta con relativa rapidità.

Un libro che torna utile per chi si occupa di educazione per varie ragioni:

 

  • molte metafore e esempi di misunderstanding provengono dal mondo della scuola;

  • è proposta una metodologia per la gestione dei conflitti, con un’analisi di diversi stili comunicativi di tipo manipolatorio;

  • con estrema eleganza e in linea con le moderne ricerche sull’intelligenza emotiva, è approfondito il ruolo che le emozioni possono avere nell’economia del ben-essere dell’individuo. Scrive l’autrice a p. 125:

 

Se il rancore verso un interlocutore non viene visto come un impulso ad attaccarlo, ma come un avvertimento che tale impulso è in atto, allora questa emozione non è più mia nemica, ma mia alleata nella regolazione del mio comportamento”.

 

Un’alleata, che va ascoltata ma non subita, si aggiungerebbe. Le emozioni sono espressioni di un’intelligenza che non riguarda tanto i fatti, ma il nostro modo di considerarli. A volte esse agiscono in automatico ed è necessario un ascolto attivo per non agire in maniera irriflessa: “quando le nostre emozioni sono alleate il nemico non è l’irrazionalità ma la rigidità” (128). Un altro passaggio utile, relativo al dialogo interiore (89):

 

Ascoltale queste voci, che sono quelle della cultura di cui siete parte e interrogatele, intavolate un dialogo con loro (come suggerisce Michail Bachtin, teorico della polifonia) e poi un dialogo fra voi su queste voci ”.

 

Per di più, nell’ambito della didattica di una lingua:

 

  • compaiono osservazioni su un confronto interculturale basato sull’ascolto attivo

  • molte attività presentate possono fungere da modello per una didattica metacognitiva

 

Isoliamo questi due punti e guardiamoli da vicino.

Per quanto riguarda il primo, un atteggiamento interculturale maturo, nella logica della Sclavi, si sposta con l’exotopia (172):

 

Per «exotopia» si intende una tensione dialogica in cui l’empatia gioca un ruolo transitorio e minore, dominata invece dal continuo ricostituire l’altro come portatore di una prospettiva autonoma, altrettanto sensata della nostra e non riducibile alla nostra”

 

E incalza (174):

 

Nell’empatia il ricercatore isola e decontestualizza alcuni tratti della esperienza dell’altro per comprenderla in base alla propria esperienza, quindi mantenendo valido il proprio contesto. Finge di mettersi nelle scarpe dell’altro, ma in realtà, all’ultimo momento, mette l’altro nelle proprie scarpe. Nell’exotopia invece la ricerca inizia quando il ricercatore, avendo cercato di mettersi nelle scarpe dell’altro, si accorge che non gli vanno bene. Ma per accorgersi bisogna «esporsi», non si può usare né i questionari né le interviste rigidamente strutturate”

 

In luogo di format di indagine rigidi, occorrono strumenti affinati, che puntino alla ricerca del dettaglio, che valorizzino il marginale, se non addirittura il fastidioso, che osservino, in maniera aperta e senza timore di incappare in dati non congrui, che non giudichino.

Per quanto riguarda il secondo punto, le pagine della Sclavi aprono degli squarci assai interessanti sulla metacognizione. È bellissima la sua indagine su labeling e ascolto attivo alle pagg. 104-114.

A margine riportiamo una osservazione sul potere delle profezie autoavverantesi (197):

 

Sia Goffman che i «labeling theorists» (i teorici dell’etichettamento) hanno ampiamente mostrato che quasi sempre una persona stigmatizzata in modo negativo (per esempio, definendo un «delinquente» un giovane che ha compiuto dei furti, o un «drogato» uno che fuma la marijuana, o un «incapace» uno studente che non studia) finirà col trovare più facile adeguarsi a queste etichette che non ingaggiare un’estenuante e difficile battaglia di contro-definizioni. Le etichette e i comportamenti sociali di cui sono il riflesso diventano profezie che si autoadempiono. La sociologia della devianza ha ampiamente mostrato come coloro che vengono considerati outsider finiscono col ritenere meno imbarazzante chiudersi in se stessi e considerare outsider tutti coloro che non appartengono al proprio gruppo”

 

In particolare, sottolinea l’A., è bene far attenzione all’atteggiamento che si può avere nei confronti dell’errore. Se si è spinti dall’urgenza di classificare, si incappa nel circolo di cui abbiamo letto sopra. Piuttosto vale la pena di assumere uno sguardo aperto, curioso, interessato, lo stesso di una madre che assiste meravigliata ai tentativi linguistici del figlio (78):

 

Quando un bambino impara la propria lingua materna, gioca, e gli adulti giocano con lui. Questo rapporto giocoso non è qualcosa di superfluo, di aggiuntivo, è un tratto vitale delle dinamiche emozionali/cognitive di quello che Bateson chiama «deuteroapprendimento».

Se il bambino indica gli occhiali e dice «mela», la madre di solito non gli dirà «sbagli», «sei uno stupido», più facilmente si comporterà come se pensasse «Ma guarda come è intelligente questo bambino che ha associato la forma rotonda della mela alla forma rotonda delle lenti!» e trasformerà questo «errore» in un gioco dentro il quale il bambino impara a chiamare «occhiali» gli occhiali, ma anche lei ha imparato qualcosa di nuovo, ha «giocato» con ciò che prima dava per scontato. Questo è già un piccolo esempio di «ascolto attivo».”

 

Gli studi sull’interlingua paiono ispirati alla stessa pedagogia: l’insegnante-ricercatore considera l’errore nell’economia del sistema linguistico che l’allievo sta producendo (quindi con uno sguardo positivo), non più dal punto di vista del parlante nativo (da cui non potrebbe che discendere una considerazione negativa).

Sull’esplorazione dei processi riteniamo utile citare von Glaserfelt (un passo tratto da «Che cosa si prova quando si impara?», in Perticari P., Sclavi M., 1994, Il senso dell’imparare, Anabasi, Milano). L’esempio è quello di una bambina che scrive: 8+5=14

 

Se l’istruttore replica: «No, mi dispiace hai sbagliato» rovina la possibilità che per il bambino la matematica sia una realtà piacevole e creativa, qualcosa che nasce dalla sua esperienza e dalla sua testa. Distrugge la motivazione a esplorare e a imparare di più. […] Invece, se in questa situazione il maestro o la maestra si limitano a chiedere «Ah, come hai fatto?», vi garantisco che in otto casi su dieci rifacendo questa addizione il bambino non arriva più a 14; può anche darsi che non arrivi al risultato giusto, però può vedere che 14 non va, e questa percezione delle operazioni che fa è la cosa più importante che deve imparare. . […] Questo l’istruttore furbo lo sa. Sa che le opportunità di riflettere sul processo sono cento volte più importanti dei risultati immediati, perché il sentimento di affidarsi a se stesso per sapere se la soluzione va o non va apre la strada a tutta una carriera di esperienze nuove, di esplorazioni e di motivazioni a imparare di più e meglio”.

 

In conclusione, il libro della Sclavi è un’opera ben fatta, ampia (351 pagine), ricca di aneddoti (in linea con la stessa filosofia dell’attenzione al particolare), con ramificazioni a varie discipline. Una sorta di Bibbia, ci verrebbe da dire con entusiasmo, per quanti si occupano di comunicazione, di intercultura, di didattica metacognitiva.  

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