Alternanza linguistica in CLIL: quanta e come

Alternanza linguistica in CLIL: quanta e come

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in RICCI GARROTTI F. (a cura di), Il futuro si chiama CLIL
Trento, IPRASE, 2006

Il nucleo di questo lavoro ruota attorno a un quesito centrale e tutt’ora aperto in campo CLIL: se è ormai assodato che emarginare la L1 può comportare svantaggi nel processo cognitivo di acquisizione di competenze, quale funzione possiamo attribuirle, quanta ne possiamo usare, e in che modo? Data l’impossibilità di trovare ricette universali, l’autrice prende in esame in modo sistematico alcune delle possibili coordinate per gestire l’alternanza linguistica nel CLIL, a partire da un confronto tra due autori tedeschi, Wildhage e Butzkamm, entrambi esperti del tema. Le due visioni risultano particolarmente interessanti, perché se il motto di Wildhage “quanta L2 possibile, quanta L1 necessaria” sembra condivisibile da entrambi, il primo ipotizza scenari di intervento e organizzazione più sistematici e strutturati, con forte accento sul ruolo metalinguistico della L1 per la disambiguazione dei concetti (traduzione e comparazione per precisare i contenuti) e sull’ alternanza temporale e contenutistica di L1 e L2 con attività a rotazione, mentre il secondo pone maggiormente l’accento sul fatto che l’alternanza codica, quando non strettamente giustificata da situazioni particolari (l’uso esclusivo della L2 che compromette la comprensione), rischia di vanificare l’esperienza del veicolare in sé. I meccanismi di demotivazione, spostando il focus dell’attenzione sulla L1, verrebbero infatti causati proprio dalla mancanza di quella che Vergnaud definisce come “destabilizzazione positiva” di un’attività cognitivamente sfidante. Nella seconda parte dell’articolo vengono sviluppate riflessioni dalle tesi di Butzkamm e dalle fasi da lui suggerite (supporto lessicale, materiali didattici, lingua delle attività autonome) per l’alternanza codica, scendendo sul terreno concreto dell’insegnamento, dove la L1 dello studente oltre ad avere un valore affettivo e identitario fondamentale, spesso non è la lingua ufficiale della scuola ma il dialetto. Di qui l’esigenza ancor più sentita di riservare alla prima lingua di alfabetizzazione un ruolo di approfondimento di alcuni concetti disciplinari specifici. A questo proposito viene fornito un utile esempio di CLIL e possibile alternanza codica con un’attività svolta nel 7 Gymnasium di Amburgo. In chiusura, l’autrice riporta una scala di indicatori del bilinguismo attivo e del bilinguismo passivo in un’ottica task based, come strumento di pianificazione dell’alternanza linguistica in classe e di orientamento delle reciproche aspettative sia dei docenti sia degli studenti, questi ultimi chiamati al delicato passaggio dalla fase della mera comprensione a un utilizzo delle abilità produttive in ambito CLIL che non sia semplice capacità di replicare, ma elaborazione e attualizzazione dei contenuti in L2.

loreguglie@yahoo.it
Università Ca'Foscari Venezia

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